A pochi giorni dalla scomparsa di Marco Crestani, riprendo, in suo ricordo, l’articolo con cui avevo tracciato un breve profilo del musicista vicentino. Quello scritto è comparso nel 2003 all’interno del N.81 della rivista Musica Insieme, il periodico dell’ASAC, l’Associazione corale del Veneto. Ma ora che il Maestro non c’è più, sento la necessità di integrare quelle parole con annotazioni sul temperamento della persona, che ho avuto modo di apprezzare direttamente.
Gli studi e la passione per la Musica corale hanno orientato Marco Crestani a privilegiare il coro come strumento ideale, attraverso il quale realizzare le diverse attività che hanno contrassegnato la sua carriera musicale: compositore, direttore di coro e animatore del movimento corale.
Il percorso rappresentato dalla sua notevole produzione per le varie formazioni corali segue, in parallelo, le tappe più significative dell’evoluzione storica e della crescita qualitativa della coralità italiana e veneta in particolare.
Tra i primi esiti significativi del mestiere di Marco Crestani vanno menzionate le numerose raccolte di armonizzazioni ed elaborazioni di canti popolari italiani e stranieri, realizzate con lo scopo di assecondare la richiesta dei tanti cori amatoriali che hanno dedicato il loro repertorio al canto di montagna e più in generale popolare. AI musicista marosticano va riconosciuto il merito di aver contribuito in modo significativo, assieme ad altri autori veneti (tra i quali ricordiamo De Marzi, Bon, Malatesta), alla definizione di una prassi e di uno stile corale di riferimento nel trattamento del folclore musicale. In particolare, Crestani si differenzia per l’innesto di canti scelti da tradizioni diverse, soprattutto sarda e occitana. Indimenticabili gli arrangiamenti di Triste ei lo cèu, Tristu Passirillanti, Pasci, Angionedda e Hava nagila.
Marco Crestani sapeva entrare nella sede di un coro amatoriale alpino con l’immediatezza di chi ha familiarità con quelle persone e quell’ambiente. Una volta consumato il rito della captatio benevolentiae con un paio di battute da caserma, entrava nel merito di quel genere di canto che frequentava fin dalla giovinezza e di cui conosceva a menadito le coloriture espressive. Era stato il fondatore del Coro CAI di Marostica e aveva successivamente diretto il Coro Monte Grappa di Bassano. Scudisciava le pigre ugole dei cantori con l’impeto di un capitano degli Alpini. Ad ascoltare il brano E gira che te gira – sua libera invenzione sulla falsariga dei canti alpini – si coglie fino a che grado di autenticità egli avesse introiettato quel modello canoro e quello stile corale.
La formazione organistica e gli incarichi ricoperti nelle chiese hanno inevitabilmente condotto Crestani a confrontarsi con la musica liturgica. Anche su quello che pur rimane un terreno minato (almeno dal Concilio Vaticano Il ad oggi), egli si è mosso con perizia, confezionando pagine in cui l’immediatezza e la semplicità del canto non risultano svilite a livello di facilità e banalità, ma conservano un certo grado di decoro musicale ed ispirazione spirituale.
Un fraterno legame di amicizia lo univa al collega padre Terenzio Zardini. Forse in virtù di questo, si sentiva al riparo dall’accusa di irriverenza, quando si lanciava in infuocate invettive contro l’insipienza musicale delle gerarchie ecclesiastiche. Monsignori, preti e sacrestani chitarristi non la scampavano.
In sintonia con la valorizzazione di repertori più impegnati, di cui si sono fatti promotori molti cori di buon livello di impostazione polifonica classica, la produzione di Crestani tende ad assumere, negli ultimi decenni, connotati più colti: prevalgono, quindi, composizioni che fanno riferimento a grandi autori della modernità (Kodaly, Hindemith), senza però dimenticare la lezione dei sommi polifonisti del passato e del Canto gregoriano, origine della vocalità occidentale. La scrittura lineare, l’autonomia delle voci e la ricerca di giochi contrappuntistici e ritmici, prevalgono ora sugli aspetti armonici e timbrici. Queste le premesse che motivano la composizione dei brani più riusciti per complessità e originalità di ispirazione (Rex autem David, Antiphonae, Sequentia Paschalis, Enfant, si j’etais roi, Les compagnons), che hanno contribuito all’ottenimento di importanti riconoscimenti in campo nazionale ed internazionale.
«Posso, Mauro, farmi un regalo per i miei 70 anni?!». Così sembrava giustificarsi, allorché mi annunciava l’intenzione di pubblicare Momenti di polifonia sacra e profana. Un CD monografico caparbiamente autoprodotto, che sanciva un affrancamento dalle forme corali generalmente considerate meno avvaloranti. Lo preoccupava l’apprezzamento di musicista a tutto tondo, che sapeva esprimersi parimenti nei generi alti e bassi.
La professione di insegnante, esercitata, per lo più, ricoprendo il ruolo di Cultura musicale generale presso il Conservatorio di Verona, oltre a consentirgli di mantenere vivo il contatto con le giovani generazioni, ha tenuto desta la sua attenzione per le problematiche della didattica musicale; nel campo prediletto della musica corale, egli ha prodotto numerosi lavori (destinati soprattutto ai cori di bambini), che testimoniano questo particolare aspetto della sua sensibilità.
Quanti docenti (giovani, troppo giovani profeti!) sperimentano nelle classi di armonia didattiche rivoluzionarie e personali; improbabili, quanto inutilmente complicate metodologie di analisi; astruse ricostruzioni dei modelli armonici. Il tutto sulla pelle ancora delicata di imberbi studenti. Marco Crestani aveva, invece, il dono della chiarezza e della semplicità nello spiegare le fondamenta del linguaggio musicale occidentale. Un “maestro elementare” come non se ne trovano più. Faceva il suo mestiere con l’umiltà e con l’orgoglio di chi si fa carico di trasmettere ai principianti i rudimenti con limpida intelligibilità. «Fai i complimenti a chi ti ha insegnato in modo così chiaro la teoria armonica», mi disse Renato Dionisi alla prima lezione di composizione musicale.
Marco Crestani fu musicista appassionato del coro e della sua dimensione educativa e socializzante. Ha sempre testimoniato fiducia nei valori dell’associazionismo corale. Ha speso gran parte del suo lavoro, cercando la propria collocazione in questo particolare ambito musicale. Ha scritto di lui Marco Materassi: «Una trasparente sincerità d’espressione e una solida coscienza artigianale del comporre come “servizio” reso alla musica, e nello specifico alla coralità e ai suoi cultori, appaiono essere i tratti unificanti […] di Marco Crestani».
La fisionomia di Marco Crestani mi ricordava i lineamenti di Arnold Schönberg. Entrambi avevano un volto severo, ma gli occhi furbetti e le sopracciglia incidevano sull’ampia fronte di Crestani curvature scherzose e beffarde, tracce delle storielle d’ogni genere che sapeva raccontare con spirito irresistibile, meglio di chiunque altro. «Dài, Maestro, ‘naltra barzeleta!»
[Choraliter, n. 32, Maggio-Agosto, Ed. Feniarco, 2010]