Racconta Federico De Roberto, ne La paura:
«Dirimpetto, a mezzo chilometro a volo d’uccello, la linea nemica; che poi s’accostava alla nostra verso sinistra, dalla parte del Lamagnolo, e quasi la radeva, a segno che se gli uomini avessero parlato la stessa lingua, avrebbero potuto attaccar discorso. E già qualche parola si veniva scambiando, laggiù: qualche pagnotta volava dai nostri posti ai posti austriaci, e qualche pacchetto di tabacco faceva la strada inversa […]».
Insomma, là dove la vicinanza delle linee attenuava la contrapposizione tra i soldati, s’aprivano contatti, negoziazioni; germogliavano traffici, baratti. Così come motteggi e sfottò rimbalzavano da una trincea all’altra, c’è da immaginare che gli stessi ritornelli canori echeggiassero, a mo’ di “cori battenti”, fra i due fronti.
La commovente implorazione di Ai preât, è un’espressione vocale che oltrepassa le lacerazioni territoriali subite dalle popolazioni friulane prima, durante e dopo la Grande Guerra.
La si ascolti, con il titolo di O tu stelle, tra i documenti conservati nel Phonogrammarchiv di Vienna, in una registrazione, effettuata da Leo Hajek e datata 3 marzo 1916. La voce è quella di Anton Melinz, classe 1883, in servizio in un accantonamento di retrovia, presso Radkersburg (cittadina austriaca, attualmente al confine con la Slovenia).
Di seguito, invece, la mia versione (“trasfigurata”, direbbe Bepi De Marzi), interpretata con rara sensibilità da Marco Berrini, alla guida del Coro da camera e del Quartetto d’archi del Conservatorio “Vivaldi” di Alessandria.
Ai Preat – M.Zuccante – Conservatorio di Alessandria, M.Berrini, dir. – 17 Dic 2014