Esistono anche in musica i cosiddetti “colpi di fulmine”? Credo proprio di si.
Fin dal primo ascolto, La bruta vigliaca mi ha incantato. Senz’altro merito dell’impeccabile e appassionata esecuzione del Coro La Rupe.
Ma non solo. Bisogna aggiungere l’impressione per un titolo così impertinente, da invettiva. Il fascino per la rievocazione di un episodio storico, che sconfina nel mito. E l’immediato apprezzamento per un arrangiamento corale indovinato e sapiente, che nulla toglie al carattere epico della ballata originale. Anzi l’esalta.
Ma andiamo con ordine.
La bruta vigliaca ricostruisce l’episodio della morte del partigiano torinese Dante Di Nanni. Si racconta che il combattente diciannovenne, pur gravemente ferito, si oppose strenuamente alle milizie nazifasciste, che assediavano il suo rifugio, al fine di catturarlo. Inoltre, si dice che fu la sua stessa donna a tradirlo («bruta vigliaca!»), rivelando ai nemici il suo nascondiglio.
Particolari leggendari, liberamente ripresi da Roberto Balocco. Un cantore che, nelle sue argute e piacevoli canson dla piòla, recupera storie, modi e tradizioni popolari piemontesi.
Ecco la canzone, nella versione originale di Balocco (le parole sono di Piero Novelli). Asciutta e leggera, ondeggia tra il modo minore e maggiore, nella tipica veste cabarettistica per voce con accompagnamento di chitarra.
A son rivà ch’ël ciochè a sonava
neuv e mesa e mi i j’era ‘ndurmì
quand ch’a l’han tambussà mi i sognava
d’esse ‘nsema strojassà sì con ti.
“Su, aprite o sfondiamo la porta”
a crijava un fassiston
peui “ja woll” ij tedesch ëd la scòrta
mi i sentìa, a cariavo già ‘l tron.
“Boja fauss – i son dime – cò’ faso?”
ël mè tron i l’hai ambrancà ‘n sël buffet.
I son panà, sì ma prima ch’am masso
sinch ò ses bastardon i veuj scursé!
I l’hai guardà fòra dla seradura
i l’hai viste là ‘n mes a lor con la tua facia dura.
Bruta vigliaca, it l’has tradime
come Giuda a l’ha fait con Nòst Signor
a sti sassìn it l’has vëndume
për gelosìa, vendetta d’amor.
A l’é mes bòt, a son tre ore ch’i tiro
giù dle scale a fé fòra ij tognin
ògni tant un as fa sota e i lo stiro
sta balada a va mai a la fin.
“Sei finito, orsù cessa il fuoco
– a crijava ‘l fassiston –
Puoi resistere ancora per poco”,
ciapa sì, parla ‘ncora s’it ses bon!
A-i é pì gnente da fé për salveme
i l’hai vint’ani e i son già mes sotrà
sù avanti, monté sù, vnì a pijeme,
mi i sai meuire për la libertà!
I l’hai guardà fòra dla seradura
i l’hai viste là ‘n mes a lor con la tua facia dura.
Bruta vigliaca, it l’has tradime
come Giuda a l’ha fait con Nòst Signor
a stì sassìn it l’has vëndume
për gelosìa, vendetta d’amor.
Bruta vigliaca mi i veuj dite
adess ch’i son sì,
fotù dai tognin
mai e peui mai i l’hai tradite
e anche adess che it im masse
mi it veuj bin.
L’adattamento corale di Dante Conrero – come dicevo – aggiunge pathos al brano.
Ci sono alcuni particolari della scrittura musicale, sui quali vale la pena soffermarsi.
Cominciamo dall’incipit. La voce del solo irrompe, sostenuta da un pedale di dominante. Un’apertura in cui la tensione si accumula e si scarica solo dopo alcune battute. Un coup de théâtre.
Quindi, la ricca tavolozza delle dinamiche (dal pianissimo al fortissimo); la variegata alternanza delle disposizioni e dei pesi della massa corale (solo – tutti); il robusto spessore delle frasi omoritmiche; l’accompagnamento essenziale e leggero, durante gli interventi del solista.
Infine, la breve coda rapsodica, di quasi libera invenzione. Gli scarti armonici, che rinviano l’epilogo. Cede l’indignazione dello stremato protagonista. L’amore s’impone anche sul tradimento («e anche adess che it im masse, mi it veuj bin»).
Pochi tratti, che evidenziano uno stile compositivo esperto e raffinato.
Un musicista tutt’altro che trascurabile, Dante Conrero.