Il giorno di massima piena ho percorso parte dell’argine, là dove l’Alpone fluisce rettilineo e privo di impedimenti. Un tratto, lungo il quale il torrente può scorrere alla massima velocità.
Oltre all’inedito aspetto visivo, mi ha molto impressionato il rombo sonoro prodotto dallo scorrimento dell’eccezionale massa d’acqua. Un suono profondo, potente ed indistinto.
Barry Truax ha intitolato uno dei suoi paesaggi sonori sintetici (digital soundscapes) Riverrun (1986).
Il brano, realizzato attraverso la tecnica della sintesi sonora granulare, riproduce l’effetto di una corrente d’acqua a partire dalle singole gocce (“grani”) fino al raggiungimento della massima densità (2375 “grani” al secondo).
Ne risulta che stasi e flusso, solidità e movimento, distinto ed indistinto coesistono in equilibrio dinamico.
Diceva György Ligeti: «Ci si consenta di usare un’illuminante analogia: il gioco con la plastilina. I vari grumi di diversi colori si disperdono gradualmente via via che si impasta il materiale; il risultato è un conglomerato in cui si possono ancora distinguere chiazze di colore, mentre l’insieme è caratterizzato da mancanza di contrasti. Continuando ad impastare, anche le piccole chiazze di colore scompariranno, lasciando il posto ad un grigio uniforme» (1958).
Una cosa è certa, la tramutazione di un evento sonoro da differenziato ad indefinito, suscita meraviglia, ma mette anche angoscia.
Sono pochi i musicisti che hanno manifestato una convincente capacità di controllo sulla complessità dei flussi sonori.
Truax, “Riverrun”