La visione dell’alter ego (doppelgänger), l’improvviso scorgere l’immagine di sé, fuori da sé (sosia, controfigura), è un fenomeno considerato foriero di sventura.
Uno sdoppiamento dell’io che la psicanalisi interpreta come irruzione di uno stato dell’inconscio, il quale rappresenta l’angoscia della morte e quindi dell’aldilà.
Il sosia
Tace la notte, riposano le strade,
in questa casa abitava il mio tesoro;
ha lasciato da molto la città,
ma la casa è sempre nello stesso posto.
C’è anche una persona, e guarda fisso in alto,
e si torce le mani per la forza del dolore,
inorridisco vedendo il suo volto –
la luna mi mostra la mia stessa figura.
Tu sosia, tu pallido amico!
Perché scimmiotti la mia pena d’amore,
che mi ha afflitto in questo posto
per tante notti, nel tempo passato?
[Der Doppelgänger
Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen,
In diesem Hause wohnte mein Schatz;
Sie hat schon längst die Stadt verlassen,
Doch steht noch das Haus auf demselben Platz.
Da steht auch ein Mensch und starrt in die Höhe,
Und ringt die Hände, vor Schmerzensgewalt;
Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe, –
Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt.
Du Doppeltgänger! du bleicher Geselle!
Was äffst du nach mein Liebesleid,
Das mich gequält auf dieser Stelle,
So manche Nacht, in alter Zeit?
Heinrich Heine]
Schubert, nel mettere in musica questi versi di Heine, ricorre alla passacaglia, una forma del passato. Ma una passacaglia sospesa in un movimento au ralenti.
Il canto esordisce in stile recitativo. Mormora il testo a frammenti, in uno spazio dilatato. Balbetta le parole nel lungo intervallo temporale tra una caduta e l’altra degli accordi del pianoforte. S’impenna (inorridisce) alla vista della propria immagine, inveisce, torna ad accasciarsi. Da brivido!
Un altro fantasma s’aggira tra le note di questo lied.
Il nome B.A.C.H. leggermente modificato
Schubert, “Der Doppelganger”