M. Zuccante: Caro Bruno, permettimi di iniziare la nostra conversazione, nel nome di Renato Dionisi. Hai avuto il privilegio di essere stato suo allievo prediletto e collaboratore. Vorrei che tu accennassi alla sua figura, sottolineando la cura che egli riservava alla musica corale nell’azione didattica.
B. Zanolini: Ho avuto il privilegio… Giuste parole che non hanno bisogno di aggiunte e commenti (sarebbe necessario un ‘romanzo’), sicché – passando alle tua ultima frase – posso solo testimoniare che la scrittura corale era per Dionisi, allievo di Celestino Eccher, maestro di formazione romana, la base di ogni possibile apprendistato (quanti corali mi ha fatto scrivere all’inizio…!), in virtù del rigore che la scrittura corale impone e del relativamente più facile controllo che se ne può avere: in ciò confortato anche dalla didattica tedesca (Bach…) che del corale – e del Lied – fa il fulcro di tutta l’esperienza artistico-musicale.
M. Zuccante: Prima di conoscerti di persona e come compositore, ho letto i tuoi scritti. In particolare, ritengo che lo studio su Luigi Dallapiccola metta opportunamente in risalto il valore della sua produzione corale. Quali altri autori del Novecento ritieni possano vantare un simile ruolo di riferimento per la musica corale?
B. Zanolini: La formazione di Dallapiccola, nato in Istria come Dionisi e colà nato per similari motivi politici, risente fortemente della grande tradizione musicale mitteleuropea, che – per quanto riguarda la coralità – all’epoca poteva vantare a Trieste una personalità quale il suo maestro Antonio Illersberg. Nessuna meraviglia quindi che i lavori per coro rappresentino un momento decisivo della produzione di Dallapiccola e della messa a fuoco del suo linguaggio (come lui stesso riconosceva, arrivando a complimentarsi (!?) con me per aver messo in luce la cosa). Una situazione simile, in altro ambiente e nel contesto ‘romano’, riguarda Goffredo Petrassi, altro autore-faro della coralità italiana del ‘900. Ma io direi che la musica corale, a qualunque tradizione e a qualunque autore dell’ultimo secolo (Kodaly, Berio, Penderecki, Castiglioni…) si riferisca, ha il vantaggio di porre sempre chiunque di fronte a un dilemma decisivo e di illustrarne il superamento (in maniera diversa e con diversi risultati secondo l’autore): come rimanere fedele ai propri ‘fantasmi’ espressivi, fatti spesso di novità non facilmente inquadrabili, facendo i conti con il mezzo sonoro più naturale, antico, ‘difficile’ nella sua apparente limitatezza e comunque duttile e affascinante, che ci sia dato impiegare.
M. Zuccante: Soffermiamoci ancora sulle opere teoriche. L’aspetto che apprezzo maggiormente del tuo esaustivo volume sul contrappunto vocale cinquecentesco è che pone come centrale la questione della coerenza stilistica, prendendo a modello le opere dei grandi autori della polifonia rinascimentale. Pertanto, indipendentemente dal periodo storico di riferimento, credo che costituisca un’ottima guida per la formazione di un giovane compositore, che ancora non ha individuato una personale cifra stilistica. Sei d’accordo?
B. Zanolini: Sono ovviamente d’accordo. Il limite maggiore che Dionisi ed io imputavamo alla trattatistica d’uso era la separazione fra ‘regole’ e risultati stilistici, quando invece è ben noto che le prime non sono mai assolute, ma vivono solo in funzione dei secondi. Il modo di esprimersi tecnico (le regole) di un autore non può essere lo stesso di un altro se la distanza temporale, ambientale, culturale fra i due porta a risultati artistici diversi. Per fare un esempio notissimo, le ‘quinte’ raveliane (anche nelle opere corali) non avrebbero senso in Orlando di Lasso e viceversa certi procedimenti di ottave sincopate. Quindi mi sembra giusto il ‘merito’ che ci riconosci, quello tentare di far capire all’allievo lo stretto legame che intercorre fra tecnica e stile, non essendo esportabile la prima senza che il secondo ne rimanga…sconvolto.
M. Zuccante: Veniamo alla tua produzione come compositore. Mi sembra di rilevare una costante nei tuoi lavori vocali: un’attenzione alla scelta e alla qualità del testo letterario da mettere in musica. Puoi descrivere (per quanto sia possibile in poche parole) il lavoro preparatorio e di progettazione che precede la stesura vera e propria di un tuo pezzo per coro?
B. Zanolini: La particolare attenzione rivolta alla scelta dei testi da musicare penso sia un dato comune a tutti i musicisti, che di norma proprio dal testo e dalle sue suggestioni ricavano stimoli e spunti d’interpretazione creativa, se è vero che la musica si pone sempre come ‘sublimazione’ della parola. Nel mio piccolo ritengo di aver agito in tal modo: di sicuro dal lato tecnico, visto che in diversi casi ho derivato le cellule ritmiche e i rapporti formali appunto dalle strutture poetico-letterarie scelte. Tenendo poi conto che in genere ho cercato di dare ai miei lavori corali un valore di testimonianza se non addirittura di messaggio (Secondo la promessa, …e il cielo al mio sguardo è libero, Intende, Beati parvuli) mi sembra evidente la cura riservata alla scelta del testo. Da lì e da mille considerazioni musicali si parte poi per… l’ignoto.
M. Zuccante: Il tuo catalogo presenta diversi titoli di musica corale. Lavori nei quali hai espresso un linguaggio in cui convivono (senza compromessi) intensità espressiva e complessità di scrittura. I cori italiani stentano ad affrontare le pagine più avanzate di musica contemporanea. Ciò è dovuto a carenze tecniche, o all’eccessivo scollamento generatosi negli ultimi decenni tra le concezioni estetiche dei compositori e la sensibilità di cori e pubblico?
B. Zanolini: Non credo tanto alle carenze tecniche (che ci possono comunque essere) e neppure tanto allo ‘scollamento’, pur evidente in molti casi ma facilmente ricomponibile quando si affrontino composizioni di pregio (quante volte ho assistito alla sorpresa soddisfazione dei coristi di fronte a un inaspettato risultato di coralità contemporanea!). Penso invece che vada combattuta una certa pigrizia, tramite la convinzione dei direttori a proporre ‘percorsi’ non tradizionali, per quanto a volte un po’ ostici. Senza ovviamente dimenticare la grande tradizione, che del resto (cfr. Palestrina) è sempre la più difficile.
M. Zuccante: Da un paio d’anni ricopri la carica di direttore del Conservatorio di Milano. Vorrei approfittare del tuo ottimale punto di osservazione per mettere a fuoco la questione della disciplina corale nel campo dell’istruzione musicale. Insegnare a cantare in coro, insegnare a far coro, insegnare a scrivere per coro sono pratiche coltivate a sufficienza nelle Scuole di musica e nei Conservatori? e con quali risultati?
B. Zanolini: Tutti siamo convinti dell’importanza che la coralità ha da sempre nella formazione musicale dei giovani, sia perché insegna loro a controllare il proprio naturale mezzo sonoro e quindi impone una precisa disciplina, sia perché obbliga tutti a collaborare in funzione del risultato d’insieme. La ‘naturale’ facilità o addirittura superiorità che a volte si nota nei giovani provenienti dall’est o dal nord europei sono quasi sempre riconducibili, a mio parere, all’abitudine corale acquisita in età infantile, esperienza per noi purtroppo inusuale con le conseguenze negative che conosciamo. Nei Conservatori esistono in realtà tutti i canali per coltivare la coralità, a livello sia compositivo sia esecutivo (al Conservatorio di Milano c’è anche un coro di voci bianche che – in collaborazione con il Teatro alla Scala – svolge intensa attività) ma il problema è risolvibile solo portando la musica (corale) nelle scuole elementari se non addirittura materne: sembra che a livello ministeriale (ne sono testimone) si voglia provvedere in proposito. Speriamo bene…
M. Zuccante: Hai recentemente messo a disposizione la tua competenza ed esperienza didattica come docente nel Seminario europeo per giovani compositori di musica corale di Aosta. Ti chiedo quali sono le impressioni a conclusione della tua esperienza nell’ambito di questa iniziativa della Feniarco.
B. Zanolini: L’entusiasmo di molti giovani nei confronti della coralità è addirittura commovente: ci credono con assoluta convinzione. E non sono pochi. Ragione ancor più forte per aiutarli ad approfondire le conoscenze, compositive ed esecutive, gli scambi di esperienze e le collaborazioni, tanto più simpatiche visto che di soldi… non ne girano proprio!
M. Zuccante: La passione per la musica corale si manifesta nel tuo impegno di consulente artistico a favore di iniziative, manifestazioni e associazionismo. Come pensi sia cambiato il mondo corale italiano nel tempo? Quali meriti e quali difetti riconosci nel movimento corale amatoriale?
B. Zanolini: A parte una certa vicinanza all’ambiente corale, da cui la partecipazione quale docente a seminari, corsi estivi o a giurie di concorso, il mio impegno si è limitato per breve tempo alla presidenza della commissione artistica dell’Usci Lombardia: non è molto. Comunque, considerando in generale la coralità italiana degli ultimi decenni, noto un evidente innalzamento del livello tecnico e interpretativo, grazie anche all’apporto di giovani direttori ben preparati e con una visione internazionale delle questioni (merito tra l’altro della partecipazione ai numerosi concorsi): senza con questo nulla togliere ai meriti della scuola italiana, Conservatori in testa. Certo è che oggi la tecnica corale e soprattutto la correttezza stilistica, pur sempre migliorabili, sono spesso da apprezzare e non certo paragonabili a quelle, modeste o improprie, di quarant’anni fa, soprattutto in riferimento alla coralità amatoriale. La quale invece, a demerito, soffre in alcuni casi di eccessiva litigiosità…campanilistica.
M. Zuccante: Tra le altre occasioni, ci siamo incontrati in qualche giuria di concorso di composizione corale. Ho sempre apprezzato la tua predisposizione a valutare con prudenza ed equilibrio tutti i lavori. Una sbrigativa e superficiale lettura potrebbe portare, infatti, ad un’incauta esclusione di lavori degni di menzione. Credo di individuare in questo atteggiamento una tua peculiarità caratteriale. Un comportamento che alcuni potrebbero giudicare pedante, ma che, al contrario, trovo sia garanzia di equità di giudizio. Una dote, ahimè, rara. Ti riconosci in questo aspetto della tua persona?
B. Zanolini: Chi si loda s’imbroda, dice il proverbio: quindi non voglio giudicare come ottimale il mio atteggiamento e il mio metodo di giudizio. Certo è che ‘per natura’ sono portato ad escludere ogni faciloneria, soprattutto quando sono coinvolte altre persone; perciò se sono chiamato a giudicare il lavoro altrui mi sento in dovere di approfondire il risultato artistico e valutare bene ogni aspetto, così da dare un parere in piena coscienza: poi, com’è ovvio, tutti possono sbagliare. Mi sembra comunque che questo approccio sia comune a molti, come ho spesso notato nei migliori concorsi.
M. Zuccante: Impossibile dimenticare, infine, la sera in cui mi hai offerto una sgnapa presso l’osteria di Papà Marcel ad Aosta. Orgoglio alpino! Bruno Zanolini è anche questo. Vorrei, perciò, che concludessi il nostro discorrere, spendendo alcune parole a favore del canto alpino; una passione nella quale è facile leggere il tuo amore per la montagna.
B. Zanolini: L’esperienza alpina – che per me prosegue tuttora nei raduni, negli incontri, nei ricordi – ha lasciato una forte traccia, tant’è che anche in Conservatorio alcuni mi apostrofano chiamandomi l’alpino: a questa si aggiunge (le cose sono in parte interdipendenti) la passione per la montagna, che ancora mi spinge ad ascensioni che oserei definire non banali. Quindi non può sorprendere l’attenzione che ho (che ho sempre avuto) per il canto corale legato alla montagna, sia esso di ascendenza militare o meno. Oggigiorno in montagna ed espressamente nei rifugi si canta molto meno di una volta, ma proprio per questo il canto corale assume un significato profondo, evocatore di sensazioni e sentimenti antichi, fortemente radicati: anche i più giovani, pur non cimentandosi il più delle volte con la tradizione corale, ne sentono il fascino e questo mi fa sperare che tale pratica – ‘ntorno al foch – mantenga la sua vitalità, pur di volta in volta rinnovata secondo stilemi che il generale ‘sentimento’ artistico in ogni epoca suggerisce.
[Choraliter, n. 29 Maggio-Agosto, Ed. Feniarco, 2009]