Canti degli Alpini e di montagna
Sul ponte di Bassano In queste ore gli Alpini sfilano (e bevono!) fieri e allegri a Bassano del Grappa, in occasione della loro 81a Adunata nazionale. Figli, nipoti e pronipoti di coloro che hanno vissuto l’immane evento bellico, da cui si è fatta l’Italia, che cosa stanno celebrando? Che cosa hanno a che fare con le truppe che nel corso del conflitto del 1915-18 attraversarono innumerevoli volte il celebre ponte, per raggiungere le zone di combattimento?A memoria di quegli eventi resta una melodia struggente, presagio di sofferenze che la nostra opulenza ha in seguito sedato. |
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Ho arrangiato alcune canzoni degli Alpini (e, più in generale, di montagna) per coro e quartetto d’archi, con l’intenzione di esaltare i tratti della loro bellezza melodica. Lungi da me il proposito di aggiornare il modello corale attraverso cui si tramandano. Per tradizione, questi canti, sono eseguiti da cori alpini virili, secondo uno stile a volte poco fantasioso, per cui i canti finiscono per assomigliarsi uno all’altro.Della canzone del Ponte di Bassano, mi interessava ripristinare il carattere di brano d’amore tenero e struggente. Non sono un filologo, ma una certa analogia del profilo melodico e ritmico tra le due arie credo si possa riscontrare. Tra l’altro, in entrambe si parla di “darsi la mano”! |
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Era una notte che pioveva «La sentinella si prepara alla pericolosa uscita di tutte le notti. Negli zaini ripone coperte, munizioni, bombe a mano, pistole a razzi illuminanti, un poco di vettovaglie e un poco di legna per la piccola stufa di latta. Dopo che il comando di compagnia ha dato la parola d’ordine, la sentinella è pronta a partire. Calzati i ramponi e mascheratosi con i mantelli da neve, la sentinella lascia la sua postazione e si dirige verso gli ostacoli di filo spinato sparsi sul terreno tra i due fronti. La sentinella risale un ripido pendio, silenziosa, evitando ogni rumore. C’è ancora la luce crepuscolare e deve essere prestata la più grande abilità e prudenza, per non richiamare l’attenzione del nemico e non scatenare il suo fuoco di annientamento. La via da seguire, conosciuta da ogni sentinella, è riconoscibile solo agli esperti, quando ci si deve orientare con la nebbia o tra il nevischio. E’ diventato più buio. La sentinella entra nel bosco che si dirada dal fondovalle verso un pendio ripido […] Il primo posto di vedetta, che si trova su un pendio sotto la baracca di guardia, in un angolo di bosco al di sopra del fondovalle e vicino ad un abete isolato, offre un buon panorama sul davanti e sui fianchi del territorio nemico. Alcuni piccoli pali alti poco più di un metro, disposti disordinatamente come protezione dalle bufere, ed un vecchio ed arrugginito scudo di protezione della fanteria, compongono il posto di vedetta numero 1. Dopo l’insediamento del primo posto di vedetta, come prima cosa viene esaminato il funzionamento del “campanello d’allarme”. Da ognuno dei due posti di vedetta, un sottile filo metallico conduce nella baracca di guardia, dove a metà della stessa pende un bossolo di proiettile appeso ad un fermaglio che ha come batacchio un grande chiodo arrugginito. La via per il secondo posto di vedetta, il più spiacevole, conduce su un pendio a circa 100 metri sulla destra. Si trova in mezzo ad un bosco di piante giovani alte 2 – 3 metri ed è simile al posto di vedetta numero 1, vicino ad alcuni alberelli. E’ situato in una piccola radura ed offre la possibilità di avere una visuale libera. Si monta la guardia in entrambi i posti. Il comandante, il capoposto ed il cambio della guardia, che rimangono nella baracca, si dispongono attorno alla piccola stufa di latta, la migliore amica della vedetta nelle gelide, fredde notti invernali. Il comandante ed il capoposto devono alternarsi alla veglia, mentre i componenti del cambio della guardia possono mettersi a dormire sulle semplici panche di legno. Più in alto nelle rispettive trincee, nei periodi di tregua, si dorme normalmente. Solo le sentinelle sono sveglie, vengono sostituite ogni 2 ore, spiano giù nella valle lontana […] La sentinella se ne sta immobile in mezzo agli alberelli, o mimetizzato, spesso trattenendo il fiato ed origliando ad ogni rumore…» (dal Diario del soldato austriaco Dolf Kickel) |
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E’ la canzone in cui “un forte vento” fa rima con “grande tormento”; in cui”l’acqua giù per la valle” fa rima con “l’acqua giù per le spalle”. Essa rappresenta una situazione in cui lo stato d’animo e fisico dell’alpino sono messi a più dura prova. Ai disagi della guerra si sommano quelli causati degli eventi naturali avversi, che, alle alte quote, si scatenano con maggiore virulenza.«Riprese poi a nevicare. Tirava un vento freddo e insistente e alle vedette gelavano i piedi. Il vento, a quell’altezza, era nel suo regno: fischiava, urlava, gemeva, rombava, ruggiva: sollevava nuvoli di neve, li abburattava, li sbatteva contro gli uomini e contro le rupi; poi li ripigliava, i suoi nuvoli, e li riportava via con sé, contro altri uomini e contro altre rupi. Questa, del vento e del freddo, era guerra già di per sé: non mai il vento aveva visto i piccoli uomini vivere nella neve della montagna e li flagellava così, li avversava perché fuggissero o morissero.» (da C. Pastorino, La prova del fuoco. Cose vere, 1931) |
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Sui monti Scarpazi Questo non è un canto degli alpini, ma appartiene ugualmente al repertorio dei cori che cantano le storie della Grande Guerra. Sui Monti Scarpazi (storpiatura di Carpazi) narra dei giovani trentini arruolati nel 1917 dall’esercito austriaco, per combattere sul fronte russo, in difesa dell’Impero asburgico. Dei giovani (classe 1899), che partirono per quelle terre remote, pochissimi fecero ritorno. … «Coloro che non caddero finirono prigionieri dei russi, e un cupo silenzio e un’ansia di notizie scesero sulle province italiane di governo asburgico; simili a quelli che nella primavera del 1943 avrebbero raggiunto da Don le valli delle Alpi. Fu allora che in Trentino nacque una canzone popolare; si racconta di una sposa che parte dal paese e va a cercare il padre dei suoi figli: «Quando fui sui monti Scarpazi | miserere sentivo cantar. | T’ò cercato tra il vento e i crepazi | ma una croce soltanto ò trovà». Allora grida: «Maledetta sia sta guèra!» e vorrebbe seppellirsi in quella neve per restare vicina al suo uomo». (Mario Rigoni Stern, daTra due guerre e altre storie) |
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Il canto viene menzionato per la forte invettiva contro la guerra: «Maledeta la sia questa guera, che mi ha dato sì tanto dolor. Il tuo sangue hai donato a la tera, hai distruto la tua gioventù». Ma non mi interessa evidenziare questo aspetto, che è pur rilevante. Piuttosto, mi commuove il tono tragico, la cadenza che accompagna il dolore inconsolabile di chi ha perduto il suo sposo: «Io vorei scavarmi una fossa, sepelirmi vorei da me, per poter colocar le mie ossa solo un palmo distante da te». Un piccolo requiem, che ha per sfondo eventi prossimi allo scoppio della Grande Guerra. |
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Ai preât la biele stele Ai preât la biele stele è una villotta friulana, in cui è possibile riconoscere la tipica forma poetica origine ottocentesca: quattro ottonari alternati piani (primo e terzo) e tronchi (secondo e quarto). Ai preât la biele stele, ducj i sanz dal Paradîs. Che ‘l Signôr fermi la uere e’l gnò ben torni in paîs. Ma tu stele, biele stele và palese ‘l gnò destin. Và daûr di che montagne là ch’al è il gnò curisin. [Ho pregato la bella stella, tutti i santi dal Paradiso che il Signor fermi la guerra, che il mio ben torni in paese. Ma tu stella, bella stella, rendi noto il mio destino. Vai oltre quelle montagne, là dove si trova il mio cuoricino.] |
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I cori alpini hanno adottato nel loro repertorio la celebre villotta friulana Ai preât la biele stele. Come spesso accade, la musica unisce ciò che la guerra divide. Le villotte friulane, infatti, dal punto di vista della struttura melodico-ritmica, risentono di una forte influenza della musica strumentale di matrice austro-ungarica e slavo-balcanica. Aggiungerei, inoltre, che gli arrangiamenti delle canzoni popolari dell’arco alpino discendono, in generale, da modelli di canto corale di tradizione austro-tedesca e non da tipologie derivate dalle scuole musicali italiane, le quali hanno, invece, riservato a queste forme di canto corale un ruolo piuttosto marginale. |
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Bella ciao Viene considerata la canzone ufficiale della Resistenza italiana. In realtà, i partigiani preferivano cantare Fischia il vento. Semmai, Bella ciao circolava, all’epoca, in alcune circoscritte zone dell’Emilia. Anni dopo la fine della guerra,Bella ciao si è imposta su Fischia il vento (qualcuno sostiene in virtù del suo contenuto più politicamente corretto).La storia del canto non è ancora stata chiarita con esattezza. Sono stati tirati in ballo collegamenti con i canti di lavoro delle mondine, con le filastrocche infantili e, recentemente, è stata rintracciata una derivazione dal folklore yiddish. Prima o poi, gli etnomusicologi si metteranno d’accordo!Sta di fatto, che, col tempo, Bella ciao si è caricata di un peso politico che, probabilmente, in origine non aveva. Dovrebbe essere una canzone che, inquadrata nel proprio contesto storico-culturale, inneggia al valore universale della libertà. Invece, a causa delle dispute ideologiche, quel carattere universale non le viene riconosciuto e si preferisce attribuirle un significato di parte. Forzature operate in egual misura da detrattori e sostenitori del canto. |
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Non è un canto degli alpini, ma della Resistenza. Lo inserisco, ugualmente, qui, perché c’è sempre stato nel repertorio del cori alpini. Ora, invece, lo si sente cantare di rado. Molte delle persone che cantano nei cori alpini, col tempo, sono diventate allergiche a tutto ciò che ha a che fare con la Resistenza e il 25 Aprile.Bella ciao, oggi in Italia, è ormai un tabu. Però, non sono passati molti anni da quando, ragazzini, cantavamo in pullman a squarciagola quel ritornello, di ritorno dalle gite di fine catechismo a Riese Pio X.Recentemente, un parroco lo ha escluso dal programma di concerto, che comprendeva gli altri canti della guerra, arrangiati per coro e quartetto d’archi; mentre, qualche giorno prima, altrove, ci aveva pensato un assessore a depennarlo, dallo stesso programma. Miserie di casa nostra!Eppure, nei raduni corali internazionali, quando i gruppi fraternizzano, prima o poi, capita di sentire O sole mio, Santa Lucia, Nel blu dipinto di blu e Bella ciao. Condividiamo all’estero, quello che ci vergogniamo di condividere in patria.Sono orgoglioso che il mio arrangiamento di Bella ciao sia stato inserito sulle pagine del sito dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia |
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La pastora E lassù, su la montagna gh’era su ‘na pastorela, pascolava i suoi caprin su l’erba fresca e bela. E di lì passò un signore e ‘l ghe diss: «Oi pastorela, varda ben che i tuoi caprin lupo non se li piglia». Salta fòr lupo dal bosco con la faccia nera nera; l’à magnà ‘l pu bel caprin che la pastora aveva. Ed allor si mise a piangere; e piangeva tanto forte al veder ‘l pu bel caprin vederlo andare a morte. |
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Secondo la tradizione più diffusa, il canto della Pastora e il Lupo viene presentato evidenziandone il tono lirico, echi agresti e melodia di struggente tenerezza. A me, invece, colpisce maggiormente l’agitazione d’animo e il contenuto drammatico dell’evento narrato. Qualunque sia il significato (palese o nascosto) della storia, sta di fatto che, in conclusione, viene rappresentata un’immagine alquanto straziante: «Ed allor si mise a piangere; e piangeva tanto forte, al veder ‘l pu bel caprin, vederlo andare a morte». |
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Toni Bortolamoni Animo Toni Bortolamoni para le pegore para le pegore soto quel pin. Tra la la la Parele tute parele meze finché le è teze laghele star. Tra la la la Gh’era na vaca ‘n font a la fera co’ la testera co’ la testera tacada ‘n tel pal. Tra la la la E dai tussoni che la butava à dat ‘na scornada ‘n tel cul del patron. Tra la la la |
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Sono diverse le tecniche che si adottano per arrangiare un canto popolare. Con la semplice armonizzazione si lasciano i dati melodici e formali nel loro stato originario. Ma se si vogliono evidenziare alcuni aspetti particolari del carattere, si può ricorrere a qualche ingrediente di libera invenzione.Toni Bortolamoniè una filastrocca, di cui intendo sottolineare l’andamento travolgente. Pertanto, l’ideazione di uno spunto scattante, affidato agli strumenti, imprime maggior incisività agli accenti ritmici. Questo nuovo elemento, intrecciandosi con il dato melodico originario, provoca una dilatazione delle dimensioni formali, ma non stravolge lo spirito generale del canto, anzi ne accresce il movimento frenetico. |
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La vien giù da le montagne La vien giù da le montagne l’é vestita a la francese da un bel giovane cortese gli fu chiesto di far l’amor. Lo ringrazio giovanotto, lo ringrazio del buon cuore, appartengo a un altro amore che mi ama e mi vuol ben. Vatten via, oh sciagurata, vatten via su le montagne. A raccoglier le castagne con gli agnelli a pascolar. Sono nata in mezzo ai fiori, tra i bei fiori di Vermiglio, sono pura come un giglio, come un giglio voi morir. … non sarà che quel bel giovane cortese, furioso per il rifiuto, assume le sembianze del lupo con la faccia nera nera, e sbrana il bel caprin della ritrosa e casta pastora? |
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Una tendenza degli ultimi anni è quella di animare le stagioni turistiche estive con concerti in alta quota: musica classica strumentale, corale, musica etnica, jazz, o di altro genere. Le località montane offrono agli escursionisti momenti di ascolto, in prossimità di conche e valloni, di siti ameni, a pochi passi da baite e rifugi alpini. Si sfruttano le ore magiche: alba, tramonto; il tutto – si dice – nel rispetto dell’ambiente naturale. Suggestivo! Insomma, un sussidio alla spettacolarizzazione dei luoghi (come se ce ne fosse bisogno).Lassù si trapiantano colonne sonore, che vanno a sovrapporsi a quei “sovrumani silenzi”. Non sempre la natura gradisce; con una leggera folata, il vento ammutolisce voci e strumenti. A meno che non si tratti di opere che un artista ha espressamente pensato, affinché vengano eseguite in quegli spazi e a quelle altezze, l’operazione puzza di specchietto per le allodole: i turisti, a cui si offre l’emozione e l’illusione di vivere in un film. Sempre e ovunque! |
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La rivista del corredo Tra i canti di evasione e di orgoglio militare, è tra quelli più accattivanti. Le immagini che raffigurano i soldati in attesa nelle retrovie, non lasciano presagire le tragiche esperienze del combattimento. … E le stellette che noi portiamo son disciplina, son disciplina; e le stellette che noi portiamo son disciplina per noi soldà. E tu biondina capricciosa garibaldina trullallà, tu sei la stella, tu sei la stella; e tu biondina capricciosa garibaldina trullallà, tu sei la stella di noi soldà. E le giberne che noi portiamo son portacicche … E tu biondina capricciosa … E la borraccia che noi portiamo è la cantina … E tu biondina capricciosa … E la gavetta che noi portiamo è la cucina … E tu biondina capricciosa … E le scarpette che noi portiamo son le barchette … E tu biondina capricciosa … E il fucile che noi portiamo è la difesa … E tu biondina capricciosa … E gli alamari che noi portiamo sono l’onore … E tu biondina capricciosa … E quella penna che noi portiamo è la bandiera … E tu biondina capricciosa …Ed il cappello che noi portiamo quello è l’ombrello … E tu biondina capricciosa … |
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Nella rielaborazione del canto del corredo e dell’armamento ho ritenuto doveroso soffermarmi sul cappello. In particolare per gli alpini, esso rappresenta un segno di appartenenza, che viene ostentato con orgoglio. Il cappello è l’elemento più rappresentativo degli alpini. È composto da molti elementi atti a rappresentare il grado, il battaglione, il reggimento e la specialità di appartenenza. Il cappello per l’alpino è simbolo sacro. La penna, lunga circa 25-30 cm, è portata sul lato sinistro del cappello, leggermente inclinata all’indietro. È di corvo, nera, per la truppa. Di aquila, marrone, per i sottufficiali e gli ufficiali inferiori. Di oca, bianca, per gli ufficiali superiori e generali. |
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Ta-pum E’ uno dei più noti e più diffusi canti della prima guerra mondiale, come dimostrano le numerose varianti al testo. L’onomatopeico ta-pum sta a imitare, come è noto, il colpo di un’arma da fuoco seguito dall’eco dello sparo nella valle. La sua origine risale a un vecchio canto di minatori, nato durante i lavori di scavo della galleria ferroviaria del San Gottardo tra il 1872 e il 1880. In quel caso, ovviamente, il ta-pum si riferiva allo scoppio delle mine. In una memoria del generale Pasquale Oro si legge che «si dubitava della fedeltà e del coraggio dei nostri Alpini». Essi, invece, quando furono lanciati all’assalto, «raggiunsero le falde dell’Ortigara e,» continua il generale Oro, «avrebbero proceduto oltre se non fossero stati fermati per ordine superiore sotto cresta in posizione critica esposti al fuoco concentrato nemico, coll’ordine di ridurre a testa di ponte la quota 2101 allora conquistata. Da quel momento cominciò il calvario di quelle balde truppe; attacchi e contrattacchi si succedettero senza posa fin oltre il 15 giugno mettendo a dura prova la resistenza di quei reparti. Il 19 giugno gli Alpini eseguirono un attacco di sorpresa e si impossessarono della cima dell’Ortigara senza per altro liberarsi dal fuoco dominante e concentrato da Corno di Campo Bianco, Val Sugana, Cima Castelnuovo e Campigoletti e si persistette in quella difficile posizione subendo perdite spaventose piuttosto che cedere. Il 25 il nemico sferrò un suo ultimo attacco violentissimo. Si impadronì di quota 2105 contrattaccato infruttuosamente dalle nostre truppe eroicamente prodigantisi sotto una orrenda furia di artiglieria e di getti di gas asfissianti. Si dovette ripiegare: abbandonare l’azione. Il massacro degli Alpini sull’Ortigara è rimasto leggendario; il loro nome risultò immacolato e coperto di nuova gloria che non tramonterà giammai». |
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In questi giorni, gli “arditi” figli e nipoti, di coloro che hanno combattuto durante la Grande Guerra, sono impegnati in una campagna di sicurezza nazionale, finalizzata a contenere l’afflusso dei nuovi stranieri, che minacciano – dicono – il nostro benessere e le nostre ricchezze. Io, non essendo coinvolto in questa mobilitazione, ho preferito accompagnare mio figlio sul Monte Pasubio. Ci siamo fermati ad osservare il campo di battaglia del 1915-1918. C’è un luogo in cui le trincee delle truppe italiane distano poco più di 11 metri da quelle austroungariche. Ho pensato, che se fossi stato lì dentro nell’estate del 1916, non mi sarei sentito per niente al sicuro! |
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La blonde E’ una delle canzoni popolari francesi più note.Sorprende trovarla nel repertorio dei cori alpini.Credo che la sua diffusione dalle nostre parti sia da attribuire alla notorietà della versione curata da Arturo Benedetti Michelangeli per il Coro della SAT. I canti che il celebre pianista, intorno agli anni Cinquanta, ha arrangiato per il coro trentino provengono, infatti, dalla tradizione piemontese e francofona. Michelangeli ha individuato nel folclore di quell’area gli spunti melodici di impronta modale, che favorivano la sua predilezione per ambientazioni armoniche di sapore impressionista. Così, il raffinato interprete di Debussy e Ravel ha trovato il modo di coniugare i “modi rustici” del canto alpino con una sensibilità armonica, che rimanda alle “squisitezze” del suo tocco pianistico. |
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Sembra che questa canzone risalga al 1704, all’epoca di Luigi XIV. In origine era una marcia militare dal titolo Le prisonnier de Hollande. Il suo presunto autore, Andé Joubert du Collet, venne, infatti, tenuto prigioniero dagli olandesi e liberato grazie all’intervento dello stesso Luigi XIV. La canzone, diffusasi in seguito al di fuori dell’ambiente militare, assunse il carattere di canzone infantile.
mauro zuccante – 2009-08-20 |
TaPum TaPum – prima parte / TaPum TaPum – seconda parte