M. Zuccante: Domenico, possiamo considerare il 2015 un anno prospero di risultati positivi per il Coro La Rupe. I successi ottenuti nei concorsi, in cui il coro si è messo alla prova, hanno sancito concordi giudizi di apprezzamento. Come hai vissuto, assieme al coro, questi felici momenti?
D. Monetta: Ebbene sì, possiamo davvero considerare questo 2015 un anno che rimarrà, nella ormai lunga storia del Coro La Rupe, come un segno tangibile per svariati motivi.
Per primo il fatto che il coro abbia aderito alla proposta di partecipare a due concorsi distanti solo una settimana fra di loro ha rappresentato di per se già un eccezione; ci tengo a dire che ogni cosa proposta al coro deve sempre essere comunque condivisa da tutti, altrimenti si rischia di compromettere alcuni elementi importanti tra cui l’esito artistico.
Un’altra cosa fondamentale era il fatto di dovere affrontare (e averne l’opportunità) un repertorio di rilievo, adatto a noi, ma che rispondesse ai requisiti dei concorsi.
Questo, per quanto ci riguarda, solitamente non si costruisce in pochi mesi ma con anni di lavoro didattico e approccio culturale.
Altro aspetto determinante che a mio avviso ha avuto un effetto notevole sui cantori e che dovrebbe essere il criterio su cui si basa la scelta dei concorsi, è stato che in pochi giorni avremmo potuto farci sentire da giurati di fama internazionale e quindi portare a casa sicuramente dei motivi di crescita e consigli utili indipendentemente dal risultato.
Dopo queste premesse, il fatto che poi i risultati si siano rivelati così generosi e appaganti è stato un tripudio di emozioni forti, vissute innanzitutto nei rispettivi luoghi dei concorsi (alcuni cantori non più giovanissimi con le lacrime agli occhi per la gioia non si scordano) dove però secondo me non c’era la piena lucidità e consapevolezza di quello che si era riusciti a creare grazie alla musica; forse non ce ne renderemo mai pienamente conto ma il nostro è un coro molto genuino, chi ci conosce lo sa, un gruppo di persone che sa divertirsi veramente! Il lunedì dopo il concorso di Fermo eravamo tutti insieme a pranzo per ricordare i bei momenti trascorsi il giorno prima; festa che è poi proseguita sia il sabato che la domenica dopo Verbania.
La vita corale è anche e soprattutto questo: condividere insieme i momenti di festa equivale condividere il fare musica al meglio delle proprie possibilità.
Questo è l’augurio che faccio a qualsiasi ensemble corale!
M. Zuccante: Il Coro La Rupe vanta una ragguardevole notorietà nel panorama della coralità amatoriale piemontese e nazionale. Vuoi brevemente tracciare la storia di questo complesso corale, fino al momento in cui tu stesso ne hai assunto la guida? Ma soffermati su Dante Conrero, una figura fondamentale e da rivalutare, non solo nel circoscritto ambito della storia del Coro La Rupe.
D. Monetta: In effetti negli anni devo dire che La Rupe si è creata una discreta fama e questo non di certo per merito mio! Tutti i miei predecessori hanno contribuito a mantenere e migliorare la salute del coro, infatti questo è stato il mio primo pensiero quando mi è stato proposto di proseguirne la direzione artistica.
C’è da dire che il materiale vocale è sempre stato piuttosto buono anche perché la tradizione vocale-musicale di Quincinetto, non per campanilismo, è riconosciuta da tutti i paesi limitrofi come una qualità piuttosto unica. Quando nacque il coro nel 1952 esisteva una cantoria di chiesa di tutto rispetto già da fine ‘800 che animava le funzioni festive e funebri cantando messe di Lorenzo Perosi e non solo!
Basti pensare che nel nostro paese, con poco più di mille abitanti esistono, oltre al coro, una banda musicale, gruppi spontanei vocali strumentali e due trombettisti di fama internazionale che militano nell’Orchestra Nazionale della Rai e nel Teatro Regio di Torino.
La cosa che però a mio avviso stupisce di più è che quasi in ogni famiglia c’è perlomeno una persona che fa o ha fatto parte di almeno uno di questi gruppi e nelle feste paesane è normale sentir suonare la fanfara e sentir cantare a più voci armonizzando semplicemente ad orecchio con lodevoli risultati.
Il nome “La Rupe” deriva da una roccia molto visibile sopra il paese dove tutti gli anni, fino a qualche decennio fa, il primo gennaio musicanti e cantori vi salivano per suonare e cantare augurando alla popolazione un buon anno nuovo.
In principio il Coro La Rupe (che inizialmente si chiamava Coro Alpino di Quincinetto) trovò la propria ispirazione nel mitico Coro S.A.T. di Trento.
Con l’arrivo del Maestro Dante Conrero (1923-1999) negli anni ’60, torinese di nascita giunto a Quincinetto per destino amoroso, ci fu la prima vera svolta di repertorio!
Dante, che studiò musica e armonia autonomamente, era di animo piuttosto malinconico (egli stesso si definiva pessimista) e in molti suoi brani traspare questa sua caratteristica, ma nello stesso tempo si percepisce una grande forza emotiva.
Egli diresse il coro per un decennio e trovando un terreno piuttosto fertile incominciò a proporre delle proprie armonizzazioni potendo quindi sperimentare direttamente sul campo i propri lavori e la propria sensibilità di compositore. Molto intelligentemente incominciò a sfornare brani in cui descriveva le montagne del luogo, le varie feste paesane e grazie ai suoi testi uniti alla musica rapì subito il cuore dei quincinettesi.
Da quel momento dunque il coro aveva i propri brani d’autore scritti appositamente per quell’ensemble e come ho accennato sopra, avendo a disposizione diverse voci naturali interessanti, sfruttò la situazione e inserì spesso parti solistiche nelle sue composizioni. Nacquero poi dalla sua penna anche alcune belle pagine musicali scritte su testi poetici e armonizzazioni di brani di stile popolare e tradizionale.
A metà anni ’90 il coro pensò bene di raccogliere buona parte di questi lavori e stamparli in un libro intitolato “Prende l’anima il tuo canto…” un verso tratto dal brano “Alpini nella steppa” che ormai viene eseguito da diversi cori soprattutto veneti. Prossimamente penso che metteremo sul nostro sito le partiture dell’intera raccolta scaricabili online in modo che tutti possano usufruirne.
Nella domanda tu dicevi giustamente che Conrero è una figura da rivalutare. In questi ultimi decenni il Coro La Rupe, dove ha potuto farsi sentire anche oltre i propri confini regionali, è sempre stato un veicolo divulgativo di questa musica autoctona; infatti recentemente si comincia a vederne i frutti perché molti direttori mi chiedono le partiture, si interessano e propongono ai propri cori queste composizioni. Basti pensare che il brano sopracitato fece parte del repertorio di due cori maschili che vinsero il primo premio nelle ultime edizioni del concorso corale di Vittorio Veneto.
Se poi musicisti affermati ne apprezzano i contenuti e ne danno risalto, ovvio che la visibilità aumenta in modo esponenziale. Se Dante fosse ancora tra di noi e sapesse queste news ne andrebbe fiero. Noi come coro potremo fare mille esperienze artistiche diverse ma la sua musica non la accantoneremo mai: ormai è parte integrante de La Rupe e ne saremo sempre orgogliosi, soprattutto se qualcuno vorrà eseguirla!
M. Zuccante: Non credo che la tua direzione abbia stravolto la natura del Coro La Rupe. Ma qualche cambiamento l’hai introdotto. Vuoi definire con precisione alcuni obiettivi innovativi (nella metodologia didattica, nelle scelte artistiche), perseguiti in questo momento di passaggio?
D. Monetta: Hai pienamente ragione, io non ho stravolto nulla!
Molti elementi di questo coro hanno delle peculiarità dovute anche alla natura del canto spontaneo che se un giorno arrivasse un direttore e pensasse di introdurre dei metodi che non tengano conto di questa naturalezza penso non funzionerebbe. Mi spiego meglio! All’interno del gruppo non c’è nessun fenomeno vocale ma diversi elementi, cantando in modo così naturale dovuto senz’altro alla tradizione di cui parlavo prima, anche senza una grande tecnica riescono a trasmettere incredibili emozioni.
Detto questo però è impensabile non proporre delle innovazioni, dei percorsi sulla vocalità (che spesso mi vengono chiesti dai coristi stessi) delle masterclass con altri direttori, soprattutto se tutte queste cose aiutano a migliorare e ad ampliare gli orizzonti musicali.
Io prima di diventare direttore ho cantato in questo gruppo per vent’anni quindi ero in piena conoscenza delle tradizioni, delle abitudini giuste o sbagliate dei singoli cantori; assumendone la direzione questo è stato sicuramente un vantaggio sia per loro, perché sapevano che non avrei mai snaturato queste caratteristiche, sia per me, che ero consapevole delle cose che necessitavano di miglioramento o di cambiamento.
Le prime parole che dissi al coro nella prima prova furono: ragazzi proviamo, faremo insieme degli esperimenti, ma se poi non funziona si cambia direttore!
Anche perché io non avevo nessuna esperienza di direzione…
Come detto sopra iniziai a lavorare su quelle cose che a mio avviso non erano state affrontate in modo abbastanza profondo e una di queste fu senz’altro il fraseggio musicale basato sull’importanza del testo quindi il rispetto degli accenti tonici delle parole. Andando avanti poi a piccole dosi proposi di ampliare il repertorio allargandolo anche alla musica sacra dove il lavoro citato sopra poteva essere applicato fin da subito sui brani nuovi. Io dico sempre che sono stato fortunato col mio coro perché tutto quello che ho proposto in fatto di esperimenti o repertorio (sicuramente anche con qualche normale brontolio o perplessità) è stato accettato e riconosciuto come innovazione e crescita; questo grazie anche ad una certa apertura mentale. C’è poi da considerare che l’età dei coristi è piuttosto eterogenea e penso che in altre reali corali non sarei riuscito a fare quello che ho fatto con loro!
La cosa più bella è stata che man mano si affrontavano repertori musicalmente più impegnativi tutti si convincevano che non sarebbero più tornati indietro.
Ovviamente il bello di studiare pagine più classiche mi ha permesso di affrontare il discorso sulla vocalità e che dunque era necessario fare qualcosa per migliorarla o semplicemente provare a cambiarla per essere più coerenti con la filologia dei vari periodi storici che venivano affrontati. Non so se ci sono riuscito ma almeno un po’ di consapevolezza in più nei singoli cantori sono sicuro di averla inculcata.
Grazie poi a tutto questo nel 2013, per i sessant’anni del coro, ho coronato un mio piccolo obbiettivo e cioè quello di incidere un CD completamente dedicato alla musica sacra per coro maschile dal XVI sec. ad oggi. Questo è stato davvero un bel traguardo che però, come dissi ai coristi, doveva essere più che altro un punto di partenza per proseguire su una strada che non potrà far altro che dare soddisfazioni e crescita culturale.
M. Zuccante: Il coro di voci maschili ha conosciuto periodi di grande fortuna e gradimento, soprattutto se riferito all’archetipo del coro alpino. Uno standard diffusosi capillarmente nelle aree del Nord Italia. Quel modello – strettamente legato alla generazione dell’escursionismo montanaro di massa – ora stenta a rinnovarsi. Ritieni che ci si possa ispirare anche ad altre espressioni stilistiche musicali, per mantenere viva la tradizione della formazione corale virile?
D. Monetta: Proprio per quello che ho detto prima in base all’esperienza col mio coro assolutamente si! Intanto se io non avessi osato proporre e di conseguenza fatto conoscere altre espressioni musicali come le chiami tu (come del resto prima di me si era già tentato un approccio) non avremmo potuto neppure presentarci ad alcuni concorsi: infatti, al concorso di Fermo su tredici gruppi eravamo l’unico coro maschile.
Questa continua ricerca di repertorio però, al di là dei concorsi che non è assolutamente obbligatorio fare anche se secondo me uno ogni tanto dà stimoli e fa crescere, a mio avviso fa parte di quella sete di conoscenza che i coristi ma soprattutto i direttori dovrebbero avere! Tutto ciò non lo dico assolutamente per denigrare o mettere in secondo piano il repertorio alpino, anzi!, penso che questi brani rappresentino la tradizione del nord Italia appunto ed è giustissimo portarli avanti soprattutto dai numerosi gruppi che credono profondamente in questo genere; del resto l’ho detto prima: noi non dimenticheremo mai da dove veniamo.
La scelta del repertorio è tanto importante quanto difficile e ogni direttore dovrebbe sapere ciò che è più adatto al proprio coro, per poter esaltarne le qualità oppure per evitarne eccessive difficoltà!
Rimanendo però nella coralità maschile penso anche che certe pagine musicali non possano rimanere nel cassetto ma debbano essere fatte conoscere ai coristi anche solo come approccio didattico. Oggi abbiamo poi una fortuna in più che venti o trent’anni fa non c’era: aprendo internet si trova qualsiasi genere musicale da ascoltare e molte partiture scaricabili; e poi ogni tanto si può anche acquistare un po’ di musica, non fa mai male investire nella cultura!
Certo facendo di tutto un po’ si corre il rischio di non avere una vera e propria identità a differenza di certi gruppi che fanno solo un determinato genere, ma secondo me ne vale la pena.
Non sono però d’accordo che si debba fare per forza musica leggera per attirare dei giovani! Sono pienamente consapevole che è difficile il ricambio generazionale soprattutto nei cori maschili ma alle nuove generazioni va fatto capire che cantare è un’espressione unica che emoziona e dà emozione, che cantare in coro è una scuola di vita, che se si inizia a far parte di un coro la cosa più importante è la passione e la serietà! Se capiscono tutto questo e gli si fa conoscere l’esistenza di un repertorio corale lungo almeno cinquecento anni molto probabilmente se ne innamoreranno da soli e anche la coralità maschile avrà senz’altro un futuro!
M. Zuccante: Veniamo ora a conoscere il tuo percorso musicale. Quali sono state le tappe di formazione che ti hanno portato ad assumere la guida del coro?
D. Monetta: Sicuramente di tutta la chiacchierata questo punto risulta il meno interessante anche perché c’è molto poco da dire…
Una cosa è certa, non era tra i miei progetti fare il direttore di coro!
Sono entrato nella Rupe a 17 anni seguendo mio papà (che è stato un fondatore e vi ha cantato per cinquantatré anni) e dopo qualche anno si sono aggiunte esperienze parallele in altri cori polifonici e collaborazioni con ensemble vocali. Ampliando gli orizzonti della musica corale ho sentito la necessità di studiare un po’ di canto privatamente, ma non troppo, perché avevo sentito dire che se non si trovava l’insegnante giusto ci si poteva anche rovinare la voce…
Ho preso parte a qualche masterclass sulla musica barocca con alcuni docenti-cantanti di fama e per gli ensemble vocali con i mitici The Consort of Musicke & King’s Singers; ho fatto parte per una decina d’anni di un quintetto vocale chiamato Triacamusicale. Nel frattempo ho collaborato come corista aggiunto in alcune produzioni sinfoniche.
Poi nel 2008 il direttore de La Rupe pensò di prendersi una pausa e siccome da qualche anno ero stato eletto vice maestro (mi era capitato di dirigere tre volte in concerto) mi propose di proseguire il cammino. Io piuttosto sgomento perché conoscevo il peso di quella carica, mi presi un po’ di tempo per riflettere.
Visto poi che tutti i coristi erano propensi ed entusiasti nel darmi questa opportunità accettai onori e oneri.
Iniziata l’impresa (come periodo di prova dissi io) ovviamente non mi sentivo all’altezza della situazione allorché incominciai a guardarmi intorno per capire cosa avrei potuto fare per migliorarmi. Una manna dal cielo fu l’incontro col Maestro Dario Tabbia; venni a conoscenza che aveva istituito da poco un triennio per direttori di coro che si svolgeva a Torino un weekend al mese. Questo corso dal nome efficace “Il respiro è già canto” nacque a seguito della pubblicazione di un libro omonimo su degli appunti del Maestro Fosco Corti di Arezzo raccolti da Tabbia suo allievo.
Nella formazione era previsto uno spazio dedicato a lezioni di armonia (che per me era quasi arabo) col Maestro Alessandro Ruo Rui, di vocalità con Anna Seggi (moglie di Fosco Corti) e di tecnica di direzione con Dario Tabbia. Un atelier vero e proprio dove l’aspetto pratico è il punto forte perché ogni mese è previsto il lavoro con cori di qualsiasi tipologia. Un corso completo che personalmente mi ha illuminato e mi ha aperto un mondo nuovo su come cercare di risolvere le problematiche non solo della gestualità, ma anche di tutti gli altri aspetti che si devono affrontare durante una qualsiasi prova.
Come si sarà notato da questo mio scarno percorso musicale non si intravede neppure l’ombra di un qualsiasi diploma al conservatorio, purtroppo! Infatti mi capita spesso di leggere locandine in rassegne e concorsi e paragonare il mio curriculum a quello della maggior parte dei colleghi (alcuni dei mostri sacri) e sentirmi un po’ fuori luogo.
Poi però in fin dei conti, la gioia che percepisco nel vedere un pubblico emozionato per il coro che dirigo e i miei cantori che mi ringraziano per ciò che gli ho trasmesso, compensa di molto il rammarico di non aver studiato con più consapevolezza in gioventù!
M. Zuccante: Permettimi, Domenico, una considerazione del tutto personale. Ho osservato nella tua direzione una partecipazione corporea che trascende le regole di una certa compostezza nella gestualità. In particolare mi riferisco ai discreti, ma continui movimenti (avanti, indietro e laterali) dei tuoi piedi, alla flessione delle ginocchia. Sembra l’accennare a piccoli passi di danza. Un atteggiamento di direzione molto personale che non disturba, anzi sembra esaltare l’effetto sul coro. Ti riconosci?
D. Monetta: Quando capita di rivedermi dirigere sono piuttosto critico e alcuni gesti mi dico che avrei potuto almeno attenuarli. Da una parte questa tua considerazione mi preoccupa un po’ nel senso che se l’hai percepita è perché sicuramente si nota… spero non troppo! Dall’altra se dici che sembra esaltare l’effetto sul coro mi dà sollievo, perché se non altro li giustifica.
Facendo il corso di direzione ho notato palesemente su di me e anche su molti altri, che il lavoro più importante del docente (Tabbia) era quello di togliere gesti eccessivi!
Quando non si è sicuri di se stessi si aumentano i movimenti perché si pensa che altrimenti il coro non capirebbe; in realtà si crea solo confusione e affanno nel fraseggio musicale. Da questo punto di vista rispetto all’inizio penso di aver fatto un’importante riduzione di bracciate inutili. Se poi per strada ho aggiunto qualche movimento probabilmente sarà perché mi sono accorto che il coro rispondeva in modo positivo e a volte i cori amatoriali hanno un po’ bisogno di essere presi per mano e condotti verso la musica: questo lo deve fare il direttore! Quindi mi riconosco!
Ti ringrazio per questa domanda.
M. Zuccante: Ti ringrazio, Domenico, per questa breve chiacchierata. Ma accetta ancora un’ultima domanda. Come intravedi il futuro del tuo coro? Quali progetti e quali prospettive artistiche ti prefiguri per i prossimi anni?
D. Monetta: Innanzitutto il compito primario per mantenere in vita un coro è quello di cercare di seminare bene lanciando un messaggio sia di serietà che di divertimento, anche per raccogliere soprattutto ragazzi giovani e farli appassionare a questo mondo magnifico: questo è quello che ho cercato di fare sin dal mio arrivo assieme ai miei preziosi collaboratori (presidente, segretario, comitato) e che continueremo a fare in futuro.
Dal punto di vista artistico si possono aprire diversi orizzonti. Mai come in questi ultimi anni il Coro La Rupe ha ricevuto inviti di collaborazioni come coro aggiunto a produzioni sinfoniche e svariate proposte da parte di ensemble strumentali.
Il problema maggiore del nostro gruppo è quello della lettura musicale non proprio fluida, quindi io devo tenerne conto e prendermi i tempi necessari per permettere al coro di assimilare bene qualsiasi repertorio.
Questo è un punto fondamentale che riguarda molti cori amatoriali e bisogna fare in modo che i futuri elementi che vorranno avvicinarsi al mondo corale abbiano un minimo di alfabetizzazione musicale, così che tra qualche anno col ricambio generazionale ci saranno sempre più coristi indipendenti nella lettura.
Io dunque sono aperto a svariate esperienze musicali e anche se il destino del coro sarà quello di cantare prevalentemente a cappella non disdegno altre contaminazioni.
Ritornando ai brani a cappella sarei contento se La Rupe negli anni a venire ampliasse il proprio repertorio in modo tale da poter creare dei pacchetti musicali tematici e riuscire a dare sempre più un senso alle proposte artistiche. In questi ultimi anni ci siamo accorti che grazie alla tenacia e all’impegno da parte di tutti nell’affrontare determinati repertori, sono giunti anche inviti in certe rassegne di prestigio che fino a qualche tempo fa era impensabile potervi partecipare.
Il mio pensiero dunque, che è anche un augurio, è quello di perseverare su questa strada con tanta passione e trasporto ma, come ripeto spesso ai miei amici coristi, sempre al servizio della musica.
Una piccola considerazione prima di salutarci.
Il coro amatoriale fondamentalmente è fortunato perché, come dice la parola stessa, fa (e canta) quello che ama… A volte però la parola “amatoriale” viene un po’ travisata e serve per giustificare magari il risultato poco eccelso di alcuni cori! È vero che ognuno fa ciò che riesce e si lavora con ciò che si ha, però è anche vero che molte volte con l’ambizione del direttore unita alle risorse dei coristi si fanno miracoli!
La coralità italiana in questi anni ha dato una bella dimostrazione, migliorando in tutti i settori e questo sicuramente grazie alle scuole e agli atelier per i direttori e ai momenti di confronto in rassegne, masterclass, concorsi.
Non ci resta che continuare con questo passo!
Grazie Mauro per la possibilità che mi hai dato di raccontare un po’ di noi…
Buon canto a tutti i lettori!
M. Zuccante, “Le chat”, Coro La Rupe, D. Monetta, dir., Fermo, 2015