In paese si è a lungo discusso sull’opportunità di spostare il monumento ai caduti ubicato in piazza.
In un primo momento, ho ritenuto che non fosse una cattiva idea collocarlo altrove. Meglio restituirgli un po’ di sacralità, riservandogli un luogo raccolto, meno contaminato, lontano da rumori e trambusti. Niente da fare, si è deciso che starà ancora lì, a fungere da spartitraffico; a fare da pendant con una chiesetta che, dalla parte opposta del paese, fa da centro ad una rotatoria.
Ma, ripensandoci, quel monumento non merita tanta riverenza.
Che c’entra, infatti, con i giovani del paese, morti nella Grande Guerra? In verità, quegli improbabili guerrieri mezzi nudi, simbolo di virilità, sacrificio, cameratismo, sono l’autorappresentazione del Fascismo. Sul lato del monumento non ci sono i nomi dei caduti, ma sta iscritto il Bollettino della Vittoria, promulgato dal generale Diaz, il 4 novembre 1918. Quella Vittoria cominciata con il passaggio del fiume Piave, di cui Mussolini dirà: «Cos’è quel brivido che percorre le membra quando si sentono le note della Leggenda del Piave? E’ che il Piave non segna una fine; segna un principio. E’ dal Piave, è da Vittorio Veneto, è dalla Vittoria gloriosissima, anche se mutilata dalla diplomazia imbelle, che si dipartono i nostri gagliardetti. E’ dalle rive del Piave che noi abbiamo iniziata la marcia che non potrà fermarsi se non quando avremo raggiunto la meta sublime: Roma!» [B. Mussolini, da un discorso pronunciato a Cremona, il 25 settembre 1922].
E.A. Mario, “La leggenda del Piave”