3. Malafemmena
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Si avisse fatto a n’ato
chello ch’e fatto a mme
st’ommo t’avesse acciso,
tu vuò sapé pecché?
Pecché ‘ncopp’a sta terra
femmene comme a te
non ce hanna sta pé n’ommo
onesto comme a me!…
Femmena
Tu si na malafemmena […]
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Dedicata a Diana Rogliani, moglie di Antonio de Curtis, che visse con lui dal 1931 al 1951, “Malafemmena” fu composta nell’anno della separazione.
Così ricorda Giacomo Rondinella, interprete della storica incisione del 1951:
“Poco dopo la separazione dalla moglie, Totò mi disse: “Giacumì, ho scritto una canzone drammatica napoletana, che però si può ballare”: era Malafemmena. Me la canticchiò, come faceva per le altre, senza nessun accompagnamento. Alla prima versione io suggerii una piccola variante, per adattarla meglio ai miei toni interpretativi. La piccola frase che aggiunsi riguardava il finale del ritornello e cioè l’impennata di voce: “Femmena, tu si ‘na malafemmena”, che Totò completò con “Te voglio bene e t’odio / nun te pozzo scurdà”. Ci tengo a sottolineare che la canzone, al contrario di quanto affermano certe malelingue, è tutta di Totò”
‘A cunzegna
‘A sera quanno ‘o sole se nne trase
e da’ ‘a cunzegna a’ luna p’ ‘a nuttata,
lle dice dinto ‘a recchia: “I’ vaco a’ casa:
t’arraccumanno tutt’ ‘e nnammurate”.
[Totò] |
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4. Guarda che luna
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Guarda che luna, guarda che mare,
da questa notte senza te dovrò restare
folle d’amore vorrei morire
mentre la luna di lassù mi sta a guardare.
Resta soltanto tutto il rimpianto
perché ho peccato nel desiderarti tanto
ora son solo a ricordare e vorrei poterti dire
guarda che luna, guarda che mare! […]
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Scritta nel 1959 da Walter Malgoni e Bruno Pallesi, “Guarda che luna”, di struggente malinconia, è la canzone che ha riconciliato Buscaglione col melodico all’italiana, fatalmente pochi mesi prima della sua tragica morte. Il brano canta la storia d’un amore finito.
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5. Il cielo in una stanza
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Quando sei qui con me,
questa stanza
non ha più pareti
ma alberi,
alberi infiniti
quando tu sei vicino a me
questo soffitto viola no,
non esiste più
io vedo il cielo
sopra noi […]
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Scritta nel 1960, agli inizi di una nuova tendenza della musica leggera, che portò alla nascita della figura del cantautore, “Il cielo in una stanza” è un brano del giovane Gino Paoli, ancora indeciso se intraprendere la carriera musicale o seguire il proprio percorso di grafico-pittore. A Milano, Paoli incontra Mina, che incide il pezzo in un’interpretazione destinata a rimanere la più riuscita.
Secondo una dichiarazione dell’autore, l’ispirazione del brano è legata al soffitto viola di una casa d’appuntamenti, che nella vita da bohémien tra i carruggi di Genova l’artista frequentava. Un tema in linea con la formazione letteraria dell’autore, all’epoca lettore di Miller, Céline e Donne. |
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6. Via Broletto, 34
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Se passate da via Broletto
Al numero 34
Toglietevi il cappello e parlate sottovoce
Al primo piano dorme l’amore mio
È tanto bella la bimba mia
E giura sempre di amarmi tanto
Ma quando io la bacio
Lei ride e parla d’altro
O mangia noccioline […]
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Brano del 1962 di Sergio Endrigo, “Via Broletto 34” è il quadretto amarissimo e realistico del tragico concludersi d’una passione amorosa. Assai lodato dal poeta Umberto Saba per l’uso semplice e straordinario delle rime baciate, Endrigo afferma di aver composto la canzone di getto.
Il protagonista di Via Broletto 34 era un uomo geloso o un paranoico?
“Un uomo geloso”
Ma c’era bisogno di ucciderla?
“Convivevano. E lei lo tradiva spudoratamente. Mi ispirai ad un delittaccio di cronaca, conciato alla maniera di Brel”. |
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7. Porta Pila
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Mi ‘v parlo ‘d coj ani che ij giovo ‘d vint’ani
a ricorderan nen,
Pòrta Pila a col temp là
co’ij sò banchc e ij sò mërcà,
l’era come na gran festa;
’m ricòrdo a la sèira, an sle rive dla Dòira
l’era pien ëd masnà.
Soma conossusse là, ti ‘t fasie la sartòira
e mi j’era ‘n disperà.
Pòrta Pila, Pòrta Pila,
a vorìa dì: sensa sagrin.
Pòrta Pila, Pòrta pila,
ël pì bel borgh dël nòstr Turin. […]
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Nel 1966 Gipo Farassino pubblica “Porta Pila”, sulla musica di La Boheme di Charles Aznavour. In questa canzone i toni spensierati di Parigi si tramutano nell’aura melanconica della Torino d’antan.
«… parlerò della Gran Cuoca di Torino: Porta Palazzo. Il forestiero non ha bisogni di ragguagli per giungervi: dove termina via Milano e i tramvia e le carrozze s’arrestano tra una folla densa, varia, turbinosa dove il vociferare copre le parole con un fragorio continuo e assordante di selvaggio tam-tam, là è Porta Palazzo.
La piazza immensa accoglie un villaggio intero dagli edifizi di tela, di legno, di cemento, con le sue vie regolari tra banco e banco, diviso e suddiviso in quartieri secondo la varietà della merce. E la merce è infinita, tale da soddisfare i desideri più strani ed opposti: dal buongustaio che cerca tra i pesci la varietà prelibata, dalla sartina che vuole un serto di rose finte pel cappello che ha foggiato con le sue dita, all’antiquario che desidera una cornicetta del Rinascimento, una miniatura settecentesca.
Passiamo tra- banco e banco, tra le cataste di stoffa, tra il gaio sventolare dei nastri e dei pizzi sospesi alle travi, ecco l’odore acre delle stoffe, mitigato, sostituito dall’aroma dei fiori; passiamo oltre, tra le chincaglierie, le terraglie, i vetri; veniamo alla nota vera, predominante di Porta Palazzo: quella gastronomica.
Il quadro è veramente grandioso: tale è l’abbondanza, la varietà delle forme, delle tinte, degli odori, che la materia bruta destinata al bruto bisogno quotidiano, diventa quasi poetica, tale da far delirare lo scrittore stanco di snobismi intellettuali, il pittore desideroso di gamme nuove. I banchi delle verdure si succedono all’infinito, unendosi allo sguardo in un solo mare dalle tinte delicate e perlacee di certi acquerelli moderni. Le insalate, le lattughe, le cicorie dal cuore appena schiuso, ancora grasse di terriccio, i cumuli di spinaci, di carciofi, di piselli, tutta la gamma del verde chiazzata qua e la dalla nota acuta delle carote fulve, delle rape violacee, dei pomidoro sanguigni…» [Guido Gozzano]. |
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8. Nina
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Nina ti te ricordi
quanto che gavemo messo
a andar su ‘sto toco de leto
insieme a far a l’amor.
Sie ani a far i morosi
a strenserla franco su franco
e mi che gero stanco
ma no te volevo tocar. […]
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“Nina” è una canzone del 1967 di Gualtiero Bertelli. «Nina ti te ricordi quanto ghe gavemo messo a andar su sto toco de leto insieme a fare all’amor»: è quasi una ninna-ninna dolente (o meglio una barcarola veneziana), umida e fredda come la città lagunare di quegli anni.
Bertelli ha vissuto e testimoniato in musica il declino della Venezia operaia e proletaria, saccheggiata e cacciata a Mestre, nei quartieri ghetto di terraferma, negli impianti inquinanti e distruttivi di Marghera. |
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9. Quello che mi resta
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Quello che mi resta dei tuoi giorni
sono queste note tristi
che si inseguono nell’aria
e disegnano il tuo viso.
Quello che mi resta dei tuoi giorni
è quell’ultimo sorriso
regalato un momento
prima di andare via.
Quello che mi resta dei tuoi giorni
è solo la malinconia.
Quello che mi resta dei tuoi giorni
è la smania di uscire
anche se so che non c’è nessuno
fuori che m’aspetta.
Quello che mi resta dei tuoi giorni
è la fretta di riuscire a dormire
ogni notte senza ripensare a te.
Quello che mi resta è il ricordo
dei tuoi baci su di me. […]
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Questo brano è contenuto nell’album “Aspettando Godot” (1972) di Claudio Lolli. Una raccolta in cui ricorre l’amaro tema della perdita. Smarrimento di sè, delle persone, del senso delle cose.
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10. Almeno tu nell’universo
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Sai, la gente è strana
prima si odia e poi si ama
cambia idea improvvisamente,
prima la verità poi mentirà lui
senza serietà, come fosse niente
sai la gente è matta
forse è troppo insoddisfatta
segue il mondo ciecamente
quando la moda cambia,
lei pure cambia
continuamente e scioccamente.
Tu, tu che sei diverso,
almeno tu nell’universo! […]
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Sul palcoscenico dell’Ariston di Sanremo nel 1989, Mia Martini esegue “Almeno tu nell’universo”, un capolavoro di interpretazione, che le procaccia, per la seconda volta, il Premio della critica.
Scritta già nel 1972 da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, questa canzone è una tra le cose più sentite, amare, strazianti della musica leggera italiana, ove la persona amata è vista come unica salvezza a dispetto della superficialità, stoltezza e infelicità della gente comune. |
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11. Io e te, Maria
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Vado in giro nella notte
facendo soliloqui,
talvolta sotto un ponte
scrivo una poesia.
Maria Maria Maria Maria Maria
Maria…
E fischio melodie
che un vecchio musicista
ascolta con pazienza
e poi non va più via.
Maria Maria Maria Maria Maria
Maria… Gesù Gesù, quanto amore.
Gesù Gesù, quanto bene. […]
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“Io e Te, Maria” (del 1973) è un esito della prolungata intesa artistica tra Piero Ciampi e il compositore Gianni Marchetti. Una riflessione sui lati oscuri dell’amore di un chansonnier maudit atipico della musica leggera italiana. Un soliloquio in forma di serenata, interrotta da cambi di tempo e di armonia.
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12. Buonanotte fiorellino
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Buonanotte, buonanotte amore mio,
buonanotte tra il telefono e il cielo.
Ti ringrazio per avermi stupito,
per avermi giurato che è vero.
Il granturco nei campi è maturo
ed ho tanto bisogno di te,
la coperta è gelata, l’estate è finita.
Buonanotte questa notte è per te. […]
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L’album “Rimmel” (1975) di Francesco de Gregori si chiude con “Buonanotte fiorellino”. Una delle canzoni più “schitarrate” tra quelle del repertorio pop italiano. Un piccolo valzer dal tono leggero e un poco ruffiano di immediata presa.
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13. Sei ottavi
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Mentre la notte scendeva stellata stellata
lei affusolata nel buio sognava incantata
e chi mi prende la mano stanotte mio Dio
forse un ragazzo il mio uomo o forse io.
Lontana la quiete e montagne imbiancate di neve
e il vento che soffia che fischia più forte più greve
e che mi sfiora le labbra chi mi consola
forse un bambino gia grande o io da sola. […]
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Chiude il progetto “Liebestraum” un brano tratto dall’album “Aida” (1977) di Rino Gaetano. I riferimenti alla sensualità e al desiderio sono calati in un contesto musicale di dolce e disteso abbandono.
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mauro zuccante – 2011-05-24 |