M. Zuccante: Caro Mauro, come direttore del rinomato Coro della SAT di Trento, porti avanti quella che si può definire una tradizione di famiglia. La generazione di tuo padre e di tuo zio ha infatti dato vita al Coro, del quale tu stesso oggi hai la responsabilità artistica. Quali sono gli elementi di continuità che hai mantenuto e quelli di innovazione che hai introdotto?
M. Pedrotti: Molti amici che seguono il nostro coro da molti anni, direttamente o attraverso le produzioni discografiche, affermano che non è cambiato nel tempo. Invece, secondo me, è cambiato moltissimo: naturalmente non nello spirito originario, ma negli aspetti tecnici e interpretativi. Dirigo il coro da 25 anni e durante questo periodo si è verificato un processo che potremmo chiamare di “rimodellamento”. Partiamo da un coro di “mostri sacri”, di solisti con voci incredibili, capaci di sostenere il canto per ore, sia sul palcoscenico che davanti ad un tavolo; creatori di invenzioni geniali, che vanno ben oltre la partitura: il mitico Coro SAT di Silvio Pedrotti. Ma negli anni le cose sono cambiate: le voci sono divenute più “ordinarie”, i mostri sacri sono stati via via sostituiti da bravi coristi, sostenuti più da passione ed entusiasmo che da eccezionali doti vocali. E il coro, lentamente, si è adeguato: maggior rigore ed aderenza alla partitura, una più accurata ricerca del “suono” suppliscono alle invenzioni dei singoli ed alla loro piena spontaneità; segue sempre, con umiltà e convinzione, la strada tracciata dai “vecchi”, ma senza ricorrere alla scopiazzatura sterile, bensì utilizzando al meglio le nuove risorse disponibili. E oggi abbiamo un coro più duttile, più reattivo alle novità, più disponibile ad affrontare prove difficili. Ciò ha certamente influito anche sul piano interpretativo, dove le differenze sono tangibili perfino ad orecchie poco esperte. Non dobbiamo stupircene: nella musica “classica” troviamo oggi interpretazioni assai differenti rispetto a qualche decennio fa, frutto di sensibilità diverse, plasmate da influenze molteplici, più aderenti al momento attuale.
M. Zuccante: A mio parere – e con buona pace per l’etnomusicologia – il Coro della SAT non va considerato come un’espressione di autentica riproposizione dei canti popolari delle genti di montagna. Si tratta piuttosto di un’invenzione “cittadina”, in virtù della quale – preso lo spunto dai canti alpestri – è stato elaborato un repertorio del tutto originale. Un repertorio che vive della contaminazione tra materiali popolari e forme della musica colta. Che ne pensi?
M. Pedrotti: Uno dei meriti riconosciuti al Coro della SAT è di aver trasmesso e diffuso un patrimonio di valori culturali che rischiava di dissolversi. Ma lo ha fatto a modo suo, con una visione del canto popolare del tutto personale. Dobbiamo risalire brevemente ai fratelli Pedrotti ed alla loro educazione musicale: i canti appresi in famiglia; la musica sacra frequentata all’oratorio del Duomo di Trento; l’apprendimento di canti e musiche locali durante la permanenza nei campi profughi boemi nel periodo 1915-1918; la frequentazione con Antonio Pedrotti, futuro direttore d’orchestra, che favorì, attraverso molti concerti – cui spesso assistevano da dietro le quinte – una formazione musicale empirica ma estremamente varia. Tutto questo venne trasferito, spontaneamente, in una interpretazione del tutto originale del canto popolare. Contaminazione del materiale di partenza? Certamente, ma di alto livello, tale da suscitare – accanto alle giuste ma… inascoltate rimostranze degli etnomusicologi – il vivo interesse del mondo musicale e da trasportare il canto popolare, divenuto così musica pura, dall’osteria al palcoscenico.
M. Zuccante: Un ruolo determinante nella creazione dello “stile-SAT” è stato sostenuto dagli arrangiatori dei canti. Una pattuglia di musicisti di prim’ordine. Essi hanno saputo coniugare la loro arte colta e raffinata con un modello corale semplice e lineare, di immediato impatto timbrico ed espressivo. Come si è evoluta negli anni l’idea di arrangiamento delle canzoni? Mi riferisco, in particolare, ai lavori degli autori che hanno lasciato l’impronta più incisiva nel repertorio del coro: Pigarelli, Benedetti-Michelangeli e Dionisi.
M. Pedrotti: Il percorso artistico del Coro della SAT, da Pigarelli a Pedrotti, da Dionisi a Benedetti Michelangeli, da Mascagni a Ghedini, ha il sapore di un’avventura straordinaria nella quale si vive il futuro senza conoscerlo! L’evoluzione delle armonizzazioni è avvenuta con gradualità nei primi anni, poi con strappi decisi. L’omofonia di Pigarelli – che prendeva il via dalla lettura degli arrangiamenti ad orecchio dei primi cantori – ha lasciato il campo prima alla scarno ma geniale stile di Pedrotti e poi alle quasi contemporanee divagazioni armoniche, altrettanto geniali, di Dionisi e Benedetti Michelangeli: queste pervase da evidenti influenze chopiniane ed impressionistiche di stampo francese; quelle sostenute dalle esperienze contrappuntistiche e dalla profonda conoscenza dello strumento “coro”. Non fu una cosa facile: in particolare Benedetti Michelangeli rappresentò una vera e propria rivoluzione artistica per i coristi anche se, alla fine, i suoi insistiti cromatismi facilitarono molto l’assimilazione delle severe linee polifoniche di Dionisi. Dobbiamo tenere presente che il coro era formato – come oggi, del resto – da persone dotate sì di innata musicalità, ma assolutamente prive di qualsiasi formazione musicale, tanto che pochissimi coristi erano e sono in grado di leggere una partitura. Certamente l’orgoglio di essere protagonisti di un fenomeno artistico largamente apprezzato, confermato proprio dai lavori dei grandi musicisti nominati, ebbe una parte non marginale nella determinazione con cui i coristi affrontarono quegli strappi e quelle novità così rivoluzionarie, tanto da considerarli, piano piano, assolutamente naturali.
M. Zuccante: Renato Dionisi ha paragonato la sonorità del Coro della SAT a quella di un organo italiano rinascimentale. In effetti, tra gli aspetti apprezzabili del coro, c’è quello dell’accostamento di timbriche e dinamiche molto nette e contrastanti, che richiamano le nitide e smaglianti combinazioni dei registri di un organo antico. Possiamo considerare questa peculiarità una costante, nonostante le indiscutibili mutazioni nel tempo del profilo vocale del coro?
M. Pedrotti: Certamente sì: il suono rigorosamente privo di vibrato e derivante da una impostazione “naturale” della voce si avvicina al suono dell’organo rinascimentale evocato da Dionisi. L’avvicendamento nell’organico di decine di coristi non ha influito su questa caratteristica, perché quel suono è sempre stato cercato dai direttori che si sono susseguiti nel tempo, attraverso un paziente lavoro di amalgama e di fusione. Non bisogna dimenticare inoltre il tessuto vocale orientato verso il registro basso, che conferisce un particolare colore caldo al risultato finale.
M. Zuccante: I prestigiosi riconoscimenti raccolti a livello nazionale ed internazionale hanno trasformato il coro in una formazione corale da concerto tra le più richieste ed acclamate. Tra gli eventi che ricordi, quali sono quelli che ti hanno dato più soddisfazione sul piano artistico?
M. Pedrotti: Certamente i momenti più entusiasmanti li ho vissuti nei grandi “templi” della musica come il Teatro Regio di Parma, il Comunale di Bologna, il Teatro dell’Opera di Roma, La Fenice di Venezia, o ancora il Teatro Regio di Torino e il Conservatorio di Milano, solo per nominarne alcuni, dove un pubblico avvezzo a tutt’altro genere di musica si emoziona a sentire La pastora! Momenti indimenticabili!
Ma in assoluto la più grande soddisfazione l’ho provata nei concorsi internazionali cui il coro si è dedicato negli ultimi anni (Corea del Sud nel 2010, Praga nel 2011 e Llangollen in Galles nel 2012) con risultati insperati nel confronto con le maggiori compagini corali a livello mondiale. Pensa la soddisfazione di portare dosoline, angioline, pastore e… montanare in un contesto pervaso di Palestrina, Schubert, Brahms, Bieber, o altri autori classici e moderni! E lo stupore di colleghi coristi e delle giurie! Ciliegina sulla torta: la medaglia d’oro a Praga (solo due medaglie d’oro assegnate su 40 cori) o il giudizio della giuria di Llangollen: “Abbiamo apprezzato il vostro caratteristico suono sempre appropriato ai vari canti. Il vostro accordo è sempre stato eccellente. Non importa se voi non sorridete al pubblico: voi non sorridete, ma la vostra musica è assai comunicativa. Avete una solida compattezza dell’insieme con un magnifico, brillante, potente suono.” E pensare che ci siamo dedicati ai concorsi soprattutto per favorire ed accelerare l’inserimento dei nuovi coristi!
M. Zuccante: Ho sempre apprezzato, nella conduzione del Coro della SAT, la pratica del direttore di posizionarsi sulla stessa linea dei cantori. Questo apparente mettersi in disparte esalta – com’è giusto che sia – il protagonismo del collettivo e ne potenzia la comunicativa, a livello autenticità e spontaneità. Rinunciando alla tradizionale e più vistosa gestualità del direttore di coro, tu fai ricorso a più discreti accorgimenti comunicativi. Per mezzo di essi mantieni ugualmente il contatto con i cantori ed eserciti il controllo dell’esecuzione musicale. Puoi illustrare questa particolare tecnica?
M. Pedrotti: Il direttore non visibile al centro, ma nascosto tra i coristi ha rappresentato una caratteristica peculiare del Coro della SAT sin dall’origine e comune ai tre “capi coro” che si sono susseguiti: Enrico dal 1926 fino al 1938, poi Silvio per ben cinquant’anni, fino al 1988 e da lì in poi il sottoscritto. E a ben vedere questo è un tratto tipico che il coro ha ereditato dall’autentico canto popolare, dove i cantori “attaccano” le loro storie dopo un breve cenno del ” capo” o dopo la frase iniziale dell’intonatore. Nel coro di oggi questa caratteristica suscita lo stupore dell’ascoltatore specialmente all’estero, dove siamo poco conosciuti. Tecnicamente, il controllo dell’esecuzione viene mantenuto per mezzo di piccoli segni, pressoché impercettibili all’esterno ma perfettamente riconoscibili dai coristi: la mano destra, la testa, gli occhi, la spalla, il linguaggio corporeo. Naturalmente ciò richiede un lungo lavoro di prove, per consentire anche ai coristi che fisicamente non “vedono” il direttore – per esempio una parte dei bassi e dei baritoni – di acquisire gli automatismi necessari per il ritmo e la dinamica, e soprattutto per lo slancio interpretativo.
M. Zuccante: Al Coro della SAT va riconosciuto il titolo di caposcuola nel genere del canto corale di tradizione alpina. Immediatamente dopo il suo esordio, molteplici gruppi corali si sono conformati al modello satino, o, a partire da esso, hanno elaborato qualche variante nell’ambito della medesima tipologia corale. Negli ultimi anni il fenomeno sembra attenuarsi, soprattutto al di fuori del Trentino. Come interpreti questa fase?
M. Pedrotti: E’ vero che nel secondo dopoguerra e fino agli anni ’60 del secolo scorso il Coro della SAT ha fatto da modello ad un gran numero di cori nell’Italia settentrionale e centrale, nati proprio perché “spinti” dal suo modo di cantare, dalla bellezza degli arrangiamenti ed aiutati anche dalla disponibilità delle partiture che i fratelli Pedrotti andavano diffondendo con le loro edizioni. Poi le cose sono lentamente cambiate, con la nascita di vocalità diverse, di un diverso approccio al canto popolare. A titolo di esempio, cito soltanto De Marzi, Vacchi, Gervasi, che con le loro formazioni corali movimentarono la tipologia corale in Italia. Anche a livello di repertorio si videro differenze notevoli: una maggiore attenzione alla ricerca locale di canti ancora sconosciuti; oppure una decisa virata verso i canti d’autore, sia pure di ispirazione popolare; o ancora, in tempi più recenti, un repentino cambio di genere per accostarsi ad esperienze estranee alla nostra cultura (gospel, spiritual, eccetera). Negli ultimi venti anni il movimento corale italiano si è ulteriormente allontanato dal modello SAT, tanto che pochissimi cori oggi eseguono il nostro repertorio. Perché? Molto dipende, in primo luogo, dal cospicuo materiale alternativo che è stato messo a disposizione: nuove esperienze, armonizzazioni di notevole difficoltà, vocalità spinte al massimo hanno incuriosito e stimolato cori e direttori e ne hanno determinato il cambio di direzione. In secondo luogo, credo che il timore del “confronto qualitativo” verso il coro che con quel repertorio ha costruito la propria missione artistica, rappresenti un motivo determinante per la scelta di diversi orientamenti.
M. Zuccante: Una problematica di rilevanza vitale, comune a tutte le compagini corali amatoriali, è quella connessa al ricambio generazionale. La formazione del Coro della SAT è composta da cantori maturi ed esperti, che operano accanto a giovani di più recente inserimento. Attraverso quali strategie sei riuscito a risolvere queste delicate fasi di passaggio, senza che il generale equilibrio d’insieme ne risenta?
M. Pedrotti: Alcuni anni fa intuii che il nostro coro stava per affrontare un periodo di allarmante accelerazione nel ricambio, che da fisiologico in pochi anni sarebbe diventato generazionale: molti coristi anziani si avviavano verso l’abbandono dell’attività. Era essenziale intervenire in anticipo per risolvere il problema. Così pensai di costituire la “scuola del Coro della SAT”, aperta a tutti, dove insegnare il nostro repertorio ed il nostro modo di cantare, nella speranza di attirare i giovani. In poco tempo, l’iniziativa ottenne un notevole successo, tanto che fu possibile, in seno ad essa, costituire il coro degli allievi SAT, compagine “precaria” perché in continuo cambiamento, ma attiva ed entusiasta. Ad oggi sono oltre 130 gli allievi passati per la scuola e di questi ben 17 sono entrati a far parte, negli ultimi cinque anni, del Coro della SAT, andando a sostituire i coristi anziani. Il loro grado di istruzione e la familiarità con lo stile SAT, plasmati nella “scuola”, hanno costituito il valore aggiunto per il loro inserimento in formazione senza grandi problemi di amalgama e di fusione. E certamente la particolare preparazione richiesta per la partecipazione ai concorsi internazionali di cui parlavo sopra ha favorito il processo di salvaguardia del timbro e dell’equilibrio interno dei vari reparti. Oggi il nostro coro è notevolmente ringiovanito e attrezzato al proseguimento dell’attività per diversi anni ancora; e, in caso di necessità, abbiamo nel coro allievi un consistente serbatoio di validi ricambi.
M. Zuccante: E’ scontato affermare che lo straordinario successo del Coro della SAT sia dovuto principalmente ai meriti artistici. Ma anche l’accortezza con cui sono stati curati gli aspetti manageriali ha contribuito a mantenerne alto il prestigio. Possiamo dire che l’immagine di un gruppo di cantori dilettanti è stata gestita – e lo è tutt’ora – con competenza professionale?
M. Pedrotti: I cori, anche quelli amatoriali come il nostro, sono delle piccole aziende che, per “produrre” convenientemente devono essere ben organizzate e strutturate. E’ importante la produzione, ma altrettanto importante è la gestione amministrativa. Nei rapporti tra le due strutture, secondo me è basilare la separazione netta tra gestione artistica e organizzazione: il direttore (la direzione artistica) deve pensare solo ai programmi, all’istruzione, ai problemi di formazione, alle prove ed alle prestazione artistiche, senza condizionamenti di sorta. Il resto spetta all’organizzazione, che deve muoversi “professionalmente” per venire incontro alle esigenze artistiche. E’ chiaro che le due strutture devono parlarsi, ma nel rispetto assoluto del rispettivo ruolo. Questo principio, che è manageriale, ha sempre caratterizzato la nostra gestione. Poi c’è l’aspetto dell’immagine non solo artistica che l’”azienda coro” deve dare all’esterno: la serietà, il mantenimento degli impegni, il comportamento di fronte al pubblico ed in ogni altra occasione sono importanti. Ancora, bisogna curare le relazioni con il territorio: per esempio, il nostro coro ha sempre cercato di rispondere positivamente anche a richieste di concerti provenienti da piccoli centri, dalle valli più lontane e questa disponibilità ha avuto riscontri sempre positivi.
M. Zuccante: Per finire, Mauro, uno sguardo in prospettiva. Cosa si profila all’orizzonte per il Coro della SAT? La riproposizione del repertorio “storico” sarà mantenuta come finalità prevalente, o saranno introdotte delle novità attraverso qualche inedito progetto?
M. Pedrotti: Negli ultimi 20 anni ci siamo dedicati principalmente alla riedizione discografica di tutto il repertorio inciso prima del 1992, anno di nascita della Fondazione Coro della SAT. Tutti quei canti sono stati ripresi in forma di “monografie” e così sono nati i compact disc dedicati nell’ordine a Arturo Benedetti Michelangeli, Antonio Pedrotti, Renato Dionisi e Luigi Pigarelli; vicino a questi, i cd dedicati ai Canti degli Alpini ed ai canti natalizi. La ripresa di quei canti non è stata solo formale: tutti sono stati “smontati”, rivisti, ristudiati nota per nota, per renderli attuali ed in linea con lo stile interpretativo del Coro SAT degli anni 2000. E tutto questo senza ridurre l’attività concertistica (facciamo circa 20 concerti all’anno, quasi tutti lontani dalla nostra residenza). Attualmente stiamo lavorando ad un cd dedicato agli Autori non compresi nelle monografie: Andrea Mascagni, Bruno Bettinelli, Renato Lunelli, Giorgio Federico Ghedini, Aladar Janes, Teo Usuelli, Luciano Chailly, Silvio Pedrotti: le registrazioni sono programmate nel mese di giugno ed il cd uscirà nel prossimo autunno. Un impegno di otto mesi circa! Programma concluso, quindi? Non credo: oggi, a quindici anni di distanza, la prima monografia, quella dedicata a Michelangeli, del 1997, mi sembra già … superata! E del resto i tanti giovani del coro di oggi, rinnovato per più di metà, non hanno mai cantato alcune delle armonizzazioni del grande pianista! Durante questo periodo abbiamo però vissuto emozionanti “digressioni”, esperienze lontane dalla nostra normale attività. Vorrei citarne alcune: i concerti con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, con i nostri canti orchestrati da Armando Franceschini (il quale sta attualmente lavorando per l’ampliamento di quel progetto, che riprenderemo presto); la partecipazione alla realizzazione della colonna sonora di un vecchio film muto tedesco, assieme al violoncellista Mario Brunello ed al percussionista Valerio Tasca; la registrazione del Te Deum di Zandonai, per coro maschile e organo e il primo approccio a Mozart con l’Ave verum corpus nella trascrizione per coro maschile. Esperienze entusiasmanti, nel segno della continuità ma anche dell’apertura e della curiosità. Quindi, una parte consistente della nostra attività sarà dedicata al repertorio storico, ma ciò non esclude l’apertura ad esperienze diverse ma importanti per la nostra continua maturazione artistica.