“Sakura”, ovvero «la fioritura dei ciliegi, secondo Takemitsu»

Sono questi i giorni, in cui, dalle mie parti, la valle è pennellata dal bianco della fioritura dei ciliegi. Uno spettacolo effimero, ma emozionante.

In Giappone, tutti ammirano la fioritura dei ciliegi e vi partecipano, come fosse un rito (si chiama hanami, cioè “guardare i fiori”). Una canzone della tradizione popolare, Sakura (“Fiori di ciliegio”), celebra l’evento. Un evento che assume anche un significato simbolico, connesso al ciclo delle cose e della vita stessa.

Fiori, fiori di ciliegio
Tappezzano il cielo di marzo
a perdita d’occhio
– sarà nebbia o nuvola? –
profumando l’aria.
Suvvia, andiamo
laggiù! [o “a gustarli!”]

Il grande compositore contemporaneo giapponese Toru Takemitsu (1930 – 1996) ha realizzato un arrangiamento per coro di Sakura. Il lavoro è stato composto nel 1980 ed eseguito per la prima volta dal Coro Filarmonico di Tokyo.
La figura di Takemitsu è complessa e tanti sono i tratti che la caratterizzano. Ve ne sono due che emergono in questo piccolo brano: il musicista-poeta della natura e il musicista che costruisce ponti tra oriente ed occidente.

Il primo aspetto si coglie nella visione sonora generale del brano. Un’atmosfera impressionistica che allude ai riverberi del biancore emanato dalla chioma delle piante («sarà nebbia o nuvola?»). Il vocalizzo iniziale e conclusivo sembrano l’evocazione del respiro della natura, nel corso del quale si manifesta lo spettacolo della fioritura. Un’ondata di suono che apre e chiude il pezzo, come lo schiudersi simultaneo dei fiori e il dileguarsi dei petali nell’aria.

Il secondo aspetto è insito nella scrittura di Takemitsu. In essa, infatti, convergono e prevalgono connotati stilistici peculiari della musica occidentale. Lo stile armonico-modale, di derivazione francese. Le tecniche, gli effetti e le sfumature timbrico-vocali. L’opposizione di gruppi di voci. L’inquadratura formale strofica. Lo sviluppo polifonico generato dalle imitazioni fra le parti (nel terzo verso c’è un accenno di canone). Tutto in linea, insomma, con i modelli storici della scrittura corale occidentale.

Toru Takemitsu: Sakura, Shin-yu Kai Choir, Shin Sekiya, dir.


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Sillabari corali: “R”

Rrrrrrr…

SIEBEN STÜCKE

per coro a cappella e con pianoforte (1981)

di Mauricio Kagel

Giunti a questa lettera del sillabario, è inevitabile che la scelta cada su Rrrrrrr… di Mauricio Kagel. Non solo perché titolo e lettera coincidono, ma soprattutto perché il lavoro del compositore argentino trae spunto – come questo sillabario – da un principio di catalogazione. Kagel immagina, infatti, di tradurre in musica i termini, raggruppati sotto la lettera R di un ideale dizionario musicale. Compone 41 brani musicali che iniziano tutti con la lettera R. Una sezione è dedicata a coro, con pianoforte. Si tratta di sette piccoli pezzi: R, Requiem, Resurrexit, Rêverie, Rex tremendae, Romanze e Ring Shouts.

La vena surrealistica, ironica e ludica di Kagel si esprime con tutta evidenza in questa suite. A ciò aggiungasi una tendenza iconoclasta nei confronti della tradizione, o – più precisamente – il ricorso al travisamento, al mascheramento dei modelli, alle libere associazioni. Nello specifico dei Sieben Stücke für gemischten Chor, attraverso lo stesso fonema R si innescano processi di distorsione, alterazione, filtraggio sonoro, connessione.

1. RRRRRRR… – Esplorazione timbrica della R, attraverso una variegata alterazione delle sue varie posizioni.


Es.1 – RRRRRRR

2. Requiem – Modificazione del testo canonico, attraverso sostituzioni o aggiunta di lettera, in principio di parola, con R: «Requiem Raeternam Roma Reis, Romine! Lux Rerpetua Ruceat Reis! Te Recet Rhymnus, Reus In Sion, Ret Ribi Reddetur Rotum In Rerusalem, …». Ai cambiamenti testuali, si uniscono i tremoli sulle vocali.

Es.2 – Requiem

3. Resurrexit – Variazioni sulle parole «Resurrexit Dominus», ricavate dal Credo, attraverso rimpiazzi con R: «Resurrexit Dominus → Resurrexit Dorinus → Resurrerit Dorinus → Resurrerit Rorinus …». Diminuendo dal fff iniziale al pp conclusivo, scendendo gradualmente di un’ottava.

Es.3 – Resurrexit

4. Rêverie – Su un testo di Friedrich Rückert, lo stesso del celebre lied di Franz Schubert «Du bist die Ruh». Una rielaborazione che tende a conservare la stessa impostazione di pace e appagamento: un clima sonoro controllato nelle dinamiche e nell’espressione. Sole voci femminili.

Es.4 – Rêverie

5. Rex tremendae – Ancora una derivazione dalla messa dei defunti. Una strofa del Dies irae: «Rex tremendae majestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis». Una pagina imperniata sui forti contrasti e sulle risonanze nella parte pianistica. Massima apertura e suddivisione delle voci.

Es.5 – Rex tremendae

6. Romance – Riproduzione di un folksong. Il testo di un anonimo spagnolo del XV sec. è trattato in forma di dialogo antifonale (voci femminili alternate a voci maschili). Il brano dev’essere ripetuto tre volte. La seconda e la terza volta con stonatura via via crescente.

Es.6 – Romance

7. Ring Shouts – Calco di un negro spiritual, marcato nel ritmo, completo di percussioni corporee (battito delle mani e dei piedi).

Es.7 – Ring Shouts



 

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Le lezioni Da l’Oriente

Non lasciatevi ingannare dal titolo di questo post. India e Cina non c’entrano. Più modestamente, il riferimento è a un brano che ho composto anni or sono e che narra dei Re Magi (già che si avvicina l’Epifania… ) Dico: «Le lezioni», perché, dalla realizzazione di questo lavoro e da ciò che ne venne in seguito, ho raccolto alcuni insegnamenti.

La storia è questa. Ero ancora studente, quando ricevetti l’invito, da parte del direttore di una compagine blasonata, di arrangiare, per coro maschile, alcuni canti popolari natalizi di area vicentina. Colsi l’occasione con ingenua soddisfazione e giovanile entusiasmo.

Attenzione, prima lezione. Ricevetti l’invito, non l’incarico. Un invito non presuppone impegno da parte dell’altra persona. Un incarico, invece, lascia intendere (anche solo sulla parola), che ci sarà, quanto meno, un’esecuzione. Infatti…

In breve consegnai i brani, compreso Da l’Oriente siam partiti. Ma, in cambio, nemmeno una pacca sulla spalla. Naturalmente, rimasi deluso. Interpretai quel mancato riscontro come un giudizio negativo sul mio lavoro.
La vicenda mi condizionò tanto che io stesso sottovalutai Da l’Oriente. All’apertura del mio primo sito web, ne misi con trascuratezza la partitura on line. A disposizione di chiunque. Tanto fa, una più, una meno… Qualche anno dopo, però, Maria Dal Bianco, direttrice del Cœnobium Vocale, mi informò che aveva scaricato la partitura e messo in repertorio il brano. Ne fui felicemente sorpreso.

Seconda lezione. Esistono diverse categorie di musicisti. Quelli che, per eseguire un brano, necessitano del conforto dell’ascolto (la maggior parte); quelli (ma sono molti di meno) che ne sanno valutare la bontà, leggendo la partitura; infine, (rarissimi) quelli che si fidano ciecamente del compositore!

Come se non bastasse l’esecuzione, Da l’Oriente riscosse pure un favorevole apprezzamento, in un concorso internazionale, a cui il Cœnobium Vocale stesso aveva nel frattempo partecipato con successo. Va da sé, inoltre, che la qualità dell’esecuzione da parte dell’eccellente coro vicentino e la registrazione discografica che ne seguì, portarono fortuna al pezzo. Ricordo i commenti lusinghieri di Paolo Bon e Pavle Merkù. 

M. Zuccante: Da l’Oriente siam partiti, Cœnobium Vocale, Maria Dal Bianco, dir.
Scarica la partitura.

Da l’Oriente è stato poi pubblicato (bontà di Giovanni Acciai, o di Marco Boschini, non ricordo bene), in un numero della compianta rivista La Cartellina. È entrato nel repertorio di altri cori. Pertanto, ho avuto modo di ascoltarne ulteriori esecuzioni, più o meno soddisfacenti.

Terza e ultima lezione. Tra le categorie sopra menzionate, la prima include una sottospecie. Si tratta, infatti, di quei musicisti che eseguono un brano, solo dopo il conforto dell’ascolto, ma non ne sanno valutare le insidie tecniche. Ammaliati dalle orecchie, sono confusi nel giudizio e si avventurano in un’improbabile esecuzione.

E qui si chiude il cerchio. Già, perché un’esecuzione disastrosa, da parte di un mediocre musicista, suscita nel compositore un dubbio analogo a quello condizionò il mio parere, quando Da l’Oriente fu, sulle prime, ignorato o scartato: «Che sia un pezzo riuscito male?». Intendiamoci, un dubbio che assale i compositori più scrupolosi. Mica tutti!


Coro CET (prova)

Coro CET

Coro LA RUPE

Coro MONTE CIMON

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Sillabari corali: “Q”

QUATRE PETITES PRIÈRES

DE SAINT FRANÇOIS D’ASSISE

per coro maschile a cappella (1948)

di Francis Poulenc

Un profondo e devoto fervore religioso ispira le opere corali sacre di Francis Poulenc. Nello stesso tempo, quelle pagine emanano una amabilità sonora, che attrae e seduce l’ascoltatore a livello di sensibilità fisica. Questa piacevolezza è data da una raffinata miscela di cliché stilistici antichi e moderni.
Le Quatre petites prières de saint François d’Assise, per coro maschile a cappella, avvalorano questa constatazione.
Si tratta di quattro brevi composizioni, realizzate dal musicista francese nel 1948, in risposta all’invito rivoltogli da un nipote (frate Jérôme Poulenc), per conto del coro del convento francescano di Champfleury.

L’impianto a cappella, i calchi di motivi gregoriani, le chiusure sulle quinte vuote, la natura modale del contesto armonico, le articolazioni ritmiche subordinate alla parola, richiamano le sobrie e austere prassi dell’antica polifonia sacra.


Es.1

Es.2

Es.3


Ma accanto alla mistica delle atmosfere antiche, ecco spuntare i segni della modernità, la malìa di seduzioni sonore secolari.
Le deviazioni dal contesto diatonico verso l’ambito cromatico. Gli spunti melodici dallo slancio lirico trascinante, sostenuti da progressioni armoniche che richiamano la tonalità tardo-romantica. Le frizioni dissonanti, generate dall’estensione degli accordi. La vaga voluttuosità degli intervalli di semitono, che si insinuano nel disegno melodico. La profondità timbrico-acustica prodotta dall’aggiunta delle note tenute (vocalizzate, o a bocca chiusa).

Es.4

Es.5


Es.6


Es.7

Nel linguaggio corale di Francis Poulenc l’eterogeneità degli elementi fluisce con naturalezza. È come se la natura spirituale e quella mondana del discorso musicale si fondessero in un unico livello.
Si tratta di un parallelo che riassume la stessa esperienza artistica e di vita del compositore, diviso tra la leggerezza dei generi musicali in voga, e la severità delle lezioni del passato; tra Belle Époque, cabaret e music-hall, e culto della classicità; tra l’esposizione al successo mondano, e il ripiegamento a una dimensione mistica del cristianesimo; tra una condotta disinvolta e stravagante, e la devota e sincera adesione alla fede religiosa.



 

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“Il nini muart”

P.P. Pasolini nel bar di Casarsa

Pier Paolo Pasolini ha pubblicato Il nini muart nella raccolta Poesie a Casarsa (1942), all’età di 20 anni.
Pochi, straordinari versi, in friulano casarsese, in cui si condensano le idee di vita (nascita, fanciullezza) e morte, in rapide, folgoranti immagini di alto contenuto simbolico: la sera, l’acqua, la donna incinta; il fanciullo, il suo pallore, le campane che suonano a morto.

Il nini muart

Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga, na fèmina plena
a ciamina pal ciamp.

Jo ti recuardi, Narcís, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a súnin di muàrt.

P.P. Pasolini legge “Il nini muart”

Il fanciullo morto

Sera luminosa, nel fosso
cresce l’acqua, una donna incinta
cammina per il campo.

Io ti ricordo , Narciso, avevi il colore
della sera, quando le campane
suonano a morto.

(la versione in italiano è dello stesso Pasolini)

È una poesia che ho amato fin da subito, che mi ha fatto avvicinare alla produzione in friulano del giovane poeta. Quella produzione che, ancor oggi, apprezzo maggiormente, per la purezza arcaica e la qualità musicale dei versi.


Ho recuperato una vecchia registrazione della composizione, su questi versi di Pier Paolo Pasolini.

M. Zuccante, Il nini muart, per coro misto e pianoforte, PolifonicoMonteforte

Scarica la partitura.

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“Sui monti Scarpazi”, un requiem al femminile

Ho riascoltato, ieri sera, la versione di Sui monti Scarpazi, nell’adattamento che ho realizzato, da coro misto e quartetto d’archi, a coro femminile e pianoforte. L’occasione è stata un evento musicale, in cui l’Ensemble femminile I Piccoli Musici, diretto da Mario Mora, ha voluto riproporre i canti della Grande Guerra.
Ancora una volta, un’esecuzione raffinata e commovente.

Ma, tornando a Sui monti Scarpazi, ho fatto la seguente riflessione.
Fra tutte le canzoni italiane che rievocano la Grande Guerra – “… dall’altra e da questa parte”, vd. precedente post – , Sui monti Scarpazi esprime, meglio di altre, il tragico destino che si abbatté sulle donne durante, ma soprattutto dopo, il conflitto.

Sui monti Scarpazi è un piccolo requiem al femminile.
E’ pertanto doveroso restituire alla voce delle donne il pathos di questa toccante melodia.


Quando fui sui monti Scarpazi
miserere sentivo cantar
t’ho cercato fra il vento e i crepazi,
ma una croce soltanto ho trovà.
O mio sposo eri andato soldato
per difendere l’imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non potrai ritornar.
Maledeta la sia questa guera
che mi ha dato sì tanto dolor,
il tuo sangue hai donato a la tera,
hai distrutto la tua gioventù.
Io vorei scavarmi una fossa
sepelirmi vorei da me
per poter colocar le mie ossa
solo un palmo distante da te.

M. Zuccante, Sui Monti Scarpazi, per coro femminile e pianoforte, Ensemble femminile I Piccoli Musici, Mario Mora, direttore – live, Casazza, 2015

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Manolo Da Rold – intervista

M. Zuccante: Manolo, sei organista, direttore di coro, compositore affermato, studioso e docente. E’ ovvio che parliamo di ruoli che si integrano perfettamente. Ma una propensione, una preferenza, per l’uno o per l’altro ce l’avrai. Insomma, cosa vuoi fare da grande?

M. Da Rold: Io da grande vorrei essere sereno continuando a fare musica, non ho una propensione particolare anche se ventiquattro anni di direzione di coro onestamente mi hanno segnato molto come musicista, vorrei continuare a fare musica con tutta la passione che ho, consapevole dei miei limiti e delle mie capacità e sicuramente vorrei avere più tempo per comporre.

M. Zuccante: Nel periodo di apprendistato, chi sono stati, in concreto, i maestri che hanno acceso in te la passione, hanno favorito la vocazione per la composizione e la direzione di coro? E poi, a quali modelli e autori del passato e contemporanei ti sei preferibilmente avvicinato e ispirato fin da subito per la composizione corale?

M. Da Rold: È una domanda talmente complessa che mi sarà difficile essere sintetico, perché sono stati molti i musicisti che hanno contribuito ad accendere in me la passione per la musica corale, alcuni legati alla mia città, ossia Belluno; ricordo le splendide esecuzioni, vere e proprie lezioni di prassi di polifonia antica e di canto gregoriano, di mons. Sergio Manfroi scomparso da poco e che ricordo con immenso affetto e gratitudine; ricordo vivamente Lamberto Pietropoli che con le sue semplici ed eleganti elaborazioni ha arricchito il repertorio di storici cori bellunesi. Ricordo con tanto tanto affetto il mio caro amico Paolo Bon e il suo cortile nella sua casa vicino a Feltre in cui passavamo ore a parlare di ‘arcaico’… Al di fuori della mia realtà cittadina ricordo con grande ammirazione Piergiorgio Righele: ho impresso nella mente quando quindicenne rimasi letteralmente a bocca aperta al termine di un concerto dei Cantori di Santomio; e poi i Philippine Madrigal Singers che nel 1994 cantarono per la prima volta a Mel, fu uno spettacolo di funambulismo corale che mi colpì tantissimo. Ma ci sono stati due musicisti che hanno inciso davvero profondamente sulla mia formazione; al conservatorio arrivò un nuovo docente di esercitazioni corali, l’allora giovanissimo Gianmartino Durighello. Il contatto con lui fu determinante per il mio approccio allo studio della composizione e mi aprì letteralmente la mente a nuovi orizzonti compositivi ed esecutivi. La mia riconoscenza va soprattutto a Nevio Stefanutti, l’uomo che ha creduto in me prima che ci credessi io stesso… è stato lui a spingermi quasi di forza nel mondo corale portandomi a seguire corsi di perfezionamento, ad ascoltare i concorsi, a sentire tutti i concerti possibili ed immaginabili; nel 1994 io fondai il mio primo coro e lui… ci ascoltò, venne spesso a sentirmi suonare l’organo, poi nel 1996 mi chiamò ad accompagnare la Corale Zumellese e nel 1998 scelse me come successore… un vero e proprio padre musicale!
Per quanto riguarda gli autori che mi hanno particolarmente segnato in quegli anni di studio e gavetta sotto la guida di Amedeo Aroma non posso, da organista, non parlare di Bach. Quando lo studi così tanto e così approfonditamente ti rimane dentro e la sua musica assoluta continua ad accompagnarmi tutti i giorni. Poi Monteverdi che adoro e De Victoria, ma anche Palestrina.
Nell’ambito della musica (allora) contemporanea rimasi particolarmente colpito dai compositori del nord. Non dimentichiamoci che in quegli anni cadeva il muro di Berlino e, come al crollo di una diga, fummo sommersi da centinaia di nuove partiture provenienti in particolar modo dall’area Slovena e soprattutto Baltica, e quindi Arvo Part, Urmas Sisak, Vitautas Miskynis e molti altri. Successivamente l’ascolto della musica della scuola minimalista scandinava mi permise di esplorare nuove sonorità e nuovi colori a tal proposito le composizioni di autori come Thomas Jennefelt rappresentano veri e propri studi sulle potenzialità sonore del coro. In Italia l’amore per il canto popolare e l’etnomusicologia mi fece intraprendere un cammino lungo ed approfondito nell’affascinante mondo dell’elaborazione numerosi autori, tra cui anche tu caro Mauro, sono diventati indirettamente miei maestri e gran parte del repertorio profano della Corale Zumellese dei miei primi anni di direzione vedeva elaborazioni di Sandro Filippi, Battista Pradal, Mauro Zuccante, Elena Camoletto, Marco Crestani, Orlando Dipiazza, Enrico Miaroma, Mario Lanaro, Piero Caraba, e molti molti altri grandi artisti dell’arte dell’elaborazione.

M. Zuccante: Difficile negare che un compositore aspiri ad essere riconosciuto per l’originalità e il fascino delle proprie opere; che ambisca ad essere apprezzato in virtù di un profilo artistico inconfondibile. Come, in tal senso, inquadreresti il tuo stile attuale?

M. Da Rold: Un filosofo che mi sta particolarmente antipatico diceva «Mann ist, was er isst» ossia «l’uomo è ciò che mangia».  Beh, per certi sensi aveva ragione. Io nella mia vita ho fortunatamente ‘mangiato’ veramente tanta musica, e tutta quella musica ha lasciato in me un segno. Il canto gregoriano, lo studio severo del contrappunto e della fuga, Bach e l’organo, l’amore per la grande polifonia la passione per il canto popolare e poi Mendelssohn che mi ruba il cuore… altrettanto significativi per me sono stati alcuni autori contemporanei di cui sovente eseguo le loro musiche con il mio coro e ho la fortuna di averli come amici (qualcuno mi fa pure le interviste). E’ innegabile che ci siano delle formule compositive di Gianmartino Durighello o di Javier Busto, di Ivo Antognini, di Miskinis, Whitacre, Lauridsen, Stroope o Arvo Part, e mi fermo perché la lista sarebbe davvero lunga, che mi hanno emozionato e pertanto sono rimaste scolpite come suggestione psichica indelebilmente nella mia memoria e quindi nella mia sensibilità musicale. Ecco, o sono l’incontro di tutto questo, e nella mia musica cerco di far parlare le mie esperienze musicali con il mio linguaggio. Le maestre pronunciavano la fatidica frase: dillo con parole tue… io cerco, di avere un linguaggio diretto, semplice, ma non scontato, scrivo se ho voglia di scrivere, se ho tempo…  ma soprattutto se ritengo di avere qualcosa di interessante da dire. Altrimenti sto zitto e suono. Scrivo per passione e odio le commissioni che mi vincolano nelle scelte e mi fanno sentire il fiato sul collo. Il mio obiettivo finale è che la mia musica piaccia a chi la canta a chi la ascolta ma pure un pochino a me.

M. Zuccante: Uno degli aspetti fondamentali della composizione corale – e, più in generale, vocale – riguarda il trattamento del testo letterario. Il conseguimento di un soddisfacente rapporto parola-suono è uno degli scopi primari per il compositore. Dalle scelte e dal modo di trattare il testo emergono i saperi, le mediazioni, i riferimenti culturali del compositore stesso. Parla di come i tuoi vissuti intellettuali si traducono in una visione estetico-musicale personale.

M. Da Rold: E’ la parola che comanda! La relazione testo-musica è fondamentale, il repertorio madrigalistico esalta questo primario legame e io credo che un musicista non possa prescindere da considerare il testo vincolante nel momento in cui si accinge a comporre un’opera corale. Credo pure possibile inventare figure retoriche che rientreranno poi nel tuo linguaggio personale. Tra i miei lavori più recenti ci sono tre madrigali. Il madrigale Mille, il madrigale del ritorno e il madrigale del diniego, in cui oltre a molte figure retoriche classiche cerco di inserirne di mie: si può esaltare la parola con il ritmo, con l’armonia e con la melodia e per me è un gioco bellissimo!

M. Zuccante: Da qualche tempo, i tuoi lavori sono accolti con successo all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Ritieni che ci siano dei motivi particolari per cui il tuo modo di comporre incontri il favore delle compagini corali americane? Inoltre, per quella che è la tua esperienza, reputi che, al di fuori dei confini nazionali, un compositore possa trovare più facile sostegno nella diffusione e nella valorizzazione delle proprie opere?

M. Da Rold: E’ una domanda che mi sono posto anch’io… perché la mia musica piace agli americani? Ho potuto conoscere personalmente moltissimi statunitensi e tutti hanno in comune una cosa, ossia un linguaggio comunicativo molto diretto, e, anche nell’esposizione di concetti profondi, sono molto semplici e sintetici, forse anche la lingua inglese aiuta a creare questa forma mentis… e forse anche la mia musica è così.
Pubblicare negli Stati Uniti è difficile. Mi sono proposto a molte case editrici, ma, a differenza che in Italia, lì, una volta scelto un autore, scatta un meccanismo veramente funzionale di promozione di divulgazione che in Italia non c’è. Lì i cori tra l’altro fanno a gara per avere un brano da eseguire in prima assoluta e il rapporto compositore-direttore è veramente stretto e costruttivo.

M. Zuccante: Fatto salvo il tuo principale impegno con la Corale Zumellese di Mel, dedichi parte del tuo tempo anche alla formazione delle voci bianche. Ti occupi dell’avviamento dei bambini al canto corale, facendoti carico di predisporre pure un adeguato repertorio. Quali linee guida segui nella creazione di canti che siano validi e accattivanti, sia sul piano didattico che artistico?

M. Da Rold: Io credo che la cosa più importante affinché un bambino impari a cantare sia che abbia qualcosa da cantare! Mi spiego meglio, siamo immersi in un mare di musica incantabile perché priva di melodia, e quindi la prima cosa che cerco è che vi sia una melodia oltre che facilmente assimilabile anche didatticamente funzionale. Io compongo per i miei piccini, e man mano che essi crescono inserisco delle difficoltà tecniche da superare con gradualità. La voce dei bimbi è uno strumento delicato, va trattato con cura, ma oltre alla voce bisogna curare l’orecchio e il gusto musicale.
Io per esempio amo far cantare ai miei bimbi oltre alle composizioni di colleghi e amici compositori, anche molti canti popolari per la loro spiccata cantabilità melodica, e perché, citando l’amico Paolo Bon, l’arcaico fa parte di noi stessi e quindi è di immediata comprensione ed esecuzione, ma anche perché mantenere la memoria delle tradizioni, ma semplicemente un dovere di noi educatori.
Poi crescono ed entrano nel coro giovanile e allora lì le mie composizioni per ragazzi tendono ad essere più libere e si avvicinano allo stile che utilizzo per i cori misti polifonici.

M. Zuccante: La musica sacra è un terreno che ti è familiare. Liturgia, concerti nelle chiese, sono contesti in cui, chi fa un mestiere come il tuo, si trova frequentemente ad operare. Ma può capitare di scontrarsi con le direttive contraddittorie delle autorità ecclesiastiche. Qual è la tua esperienza in merito? E, come compositore, ti senti investito di un ruolo nell’ambito della comunità ecclesiastica, o la tua produzione sacra scaturisce da necessità spirituali prettamente individuali?

M. Da Rold: La musica liturgica che viene attualmente cantata nelle nostre chiese è quasi tutta brutta, e spesso pure cantata male. Formulette melodiche poverissime, ma ancora più preoccupanti sono i testi adottati… banali, tristi e a volte ridicoli.
La celebrazione liturgica è di per se stessa un’opera d’arte e il cammino escatologico di noi fedeli è assimilabile alla crescita culturale, morale ed intellettiva che l’opera d’arte compie in chi la ammira o la ascolta. Chi assiste alla celebrazione liturgica deve uscire dal tempio più maturo e con un grado di consapevolezza superiore rispetto a quando è entrato. Questa crescita si ha solo con la bellezza, la bellezza delle azioni rituali, la bellezza dei concetti contenuti nella Parola, la bellezza dell’ambiente: il tutto che ci fa intuire la Bellezza e la Bontà assoluta di Dio che è Tob. La musica non può non essere bella, ma bella significa profonda, intelligente, il cammino di anabasi verso Cristo lo possiamo attuare non rimanendo ancorati per terra con banalità utili soltanto ad accattivare il popolo visto come pubblico di show! Le canzonette o peggio le musiche da fiction come quelle composte da mons. Frisina sicuramente non fanno bene… ma dico io cosa abbiamo fatto di male noi in Italia per meritare Frisina mentre in Inghilterra hanno Rutter… si vede che peccano meno di noi.
Cito sempre il grande Bepi de Marzi ai miei allievi di liturgia (materia che ho il piacere di insegnare in conservatorio) quando dice «una notte di sudore con la barca in mezzo al mare» cosa significa? Oppure «Quando Bùssuro allà tua poorta» che, con gli accenti sbagliati, sembra un canto dei cacciatori di bisonti… e potrei andare avanti. I compositori bravi ci sono eh, ci sono pure i cori e i direttori che lavorano meravigliosamente in ambito liturgico, basti pensare al Coro Nazionale della C.E.I. diretto da Marco Berrini che propone sempre repertori consoni e raffinati.
Ci può essere musica semplice, cantabile, gioiosa e contemporaneamente bella! Basta saper scegliere bene e la Chiesa in questi ultimi anni ha scelto sempre piuttosto male. Per non parlare del Canto Gregoriano messo nel dimenticatoio e la scarsissima preparazione dei giovani sacerdoti che in seminario non cantano più.
Per tornare a me, quando mi accingo a scrivere un mottetto su di un testo sacro sto facendo un atto di fede, sinceramente non ho mai pensato che le mie composizioni potessero essere sacre ma non liturgiche. Non c’è la musica per la liturgia, la liturgia è essa stessa musica nel suo divenire e nel suo comunicare come Dio è Logos e quindi suono e quindi musica per antonomasia.

M. Zuccante: Sei regolarmente protagonista di successo nelle competizioni di canto corale e di composizione corale. Inoltre, in virtù dei numerosi riconoscimenti ottenuti, vieni sovente chiamato a ricoprire il ruolo di giurato. Dimmi le tue considerazioni in merito ai concorsi: luci e ombre, se ci sono.

M. Da Rold: Io non amo le competizioni corali, la musica è arte e non competizione. Comunque reputo il concorso un ottimo mezzo (non un fine) per lavorare in maniera meticolosa su un repertorio, per quanto riguarda i concorsi corali, o su una nuova composizione, per quanto riguarda i concorsi di composizione. E’ inutile nasconderlo, esce fuori l’orgoglio e il desiderio di dimostrare il proprio valore e allora si lavora con maggiore attenzione.
Il mondo dei concorsi in Italia rispecchia il mondo della Coralità Italiana che come si vede chiaramente tende a valorizzare punte di diamante create ad hoc e si dimentica della base e di chi lavora veramente. Oltretutto un mondo chiaramente diviso a causa di scelte politiche poco oculate e poco intelligenti, ma non mi dilungo su questi aspetti che mi interessano poco e mi auguro solamente che il futuro sia migliore, che le tante risorse che abbiamo vengano tutte giustamente ed equamente valorizzate e che il mondo corale non sia come gli altri mondi italiani ove il nepotismo, la raccomandazione e la pacca sulla spalla fanno da padrone.

M. Zuccante: Una riflessione sullo stato della musica corale veneta. Una regione, il Veneto, che, già in passato, ha espresso realtà corali di notevole livello. I musicisti della generazione a cui appartieni vanno assumendo, in ambito regionale, un ruolo di riferimento. Come valuti il contributo delle nuove leve in termini di mantenimento, rinnovamento e rilancio della coralità veneta?

M. Da Rold: La coralità veneta gode di ottima salute, In questi ultimi anni si sono avviate attività e operate scelte veramente felici, prima fra tutte l’accademia Righele, ma anche il Festival della Coralità Veneta, il Meeting per voci bianche di Bassano e poi lo storico corso di MeI e molto altro ancora. I musicisti della mia generazione e di quella immediatamente precedente hanno, giustamente come dici tu, seminato abbastanza bene, e vedo che anche quelli della generazione immediatamente successiva, stanno facendo cose egregie, cito solamente tre cari amici come Francesco Grigolo, Matteo Valbusa e Maurizio Sacquegna io infatti sono il vecchio saggio di un quartetto di amici (grandi amici) dal buffo nome di Le Sexyaltere.
Posso però assicurare  che anche i giovani direttori veneti stanno crescendo proprio bene, nel Veneto vige ancora la passione per la coralità vera, quella che nasce dal lavoro sul territorio, quella del maestro che ‘costruisce’ il suo coro formando i coristi e arrivando anche a toccare livelli artistici veramente eccelsi. Nel Veneto fortunatamente si rifugge dalla mentalità dei cori fatta con i migliori coristi dei cori esistenti che si scambiano fra di loro (ma che poi sono sempre gli stessi) mentalità questa, funzionale solamente al successo dei direttori stessi e atta ad una promozione commerciale della coralità, ma non adatta alla crescita globale: a medio lungo termine questo costume porterà ad un impoverimento della base solida a cui codeste realtà vacue attingono.

M. Zuccante: Il corso estivo di Mel, cresciuto e consolidatosi negli anni, ha acquisito fama di rilevante punto di riferimento, per la formazione dei direttori di coro. Tu ne sei stato, fin dalle origini, vigile ispiratore e animatore. Che bilancio ti senti di fare e, nel caso ci sia qualcosa da modificare, cosa cambieresti per il futuro?

M. Da Rold: Il corso di Mel è un appuntamento veramente speciale, io dico sempre a tutti i ragazzi che un direttore prima di dirigere il proprio coro e fare delle scelte importanti deve sapere ‘dove si trova’ e ‘dove vuole andare’ ossia essere consapevole dei propri limiti e cercare di superarli, ma anche delle proprie capacità cercando di valorizzarle. Il corso di Mel serve proprio a questo, non è un corso di perfezionamento, è un corso in cui si lavora sul proprio io, sulla vocalità individuale, sulla gestualità, sull’approccio comunicativo direttore-coro e tale filosofia è stata premiata, tanto che alla segreteria dell’ASAC quest’anno sono arrivate 32 iscrizioni che hanno reso il coordinamento del corso abbastanza impegnativo, e sicuramente in futuro dovremo ripensare la distribuzione delle giornate durante la settimana di lavoro. Devo assolutamente dire che anche i tre docenti di questo triennio (Dario Tabbia, Matteo Valbusa e Paolo Piana), si sono dimostrati veramente eccezionali, oltre che didatticamente e artisticamente anche umanamente.

M. Zuccante: In conclusione, Manolo, dato l’itinerario fin qui percorso, e dato il lungo tragitto che ancora si prefigura davanti a te, prova ad esprimere – per quanto sia possibile in poche parole – le ragioni di soddisfazione fin qui sperimentate, e cosa ancora ti aspetti di positivo negli anni a venire.

M. Da Rold: Io non ho mai avuto nessuna grande ambizione di successo nella mia vita artistica, e le tante soddisfazioni che si sono susseguite in questi ventiquattro anni di direzione corale hanno rappresentato sempre una sorpresa rendendo la mia esistenza magica e gratificante! I riconoscimenti, i successi, le splendide esecuzioni, ma anche gli errori e i fallimenti, poi le produzioni che mi hanno affidato, ma soprattutto le persone meravigliose che ho sempre incontrato mi fanno sentire una persona privilegiata.
Devo ammettere che ho avuto sempre dalla mia parte una meravigliosa famiglia e una moglie molto comprensiva (fortunatamente corista anche lei) e poi una seconda famiglia che è cresciuta con me negli anni che è la mia Corale Zumellese. In essa si sono succeduti centinaia di coristi, molti dei quali non cantano più da anni, ma, la gratitudine che ho nei loro confronti è e sarà sempre immensa. Ho poi la grande fortuna di insegnare in un conservatorio meraviglioso in una delle città più affascinanti d’Italia che è Matera e anche lì ho conosciuto persone stupende alcune di esse cantano nei miei cori materani che sono Il coro da Camera E.R. Duni in collaborazione con il mio amico Carmine Catenazzo e il gruppo corale rinascimentale The Ma.Ma Singers.
Ora ho ripreso a suonare l’organo e in questo periodo sto accompagnando Sara Cecchin bravissimo soprano del mio coro e, devo dire, per quanto riguarda l’organo, che il primo amore veramente non si scorda mai, anche se le ance si scordano sempre… ma sono dettagli!
Dal futuro non mi aspetto nulla, voglio che sia sempre una sorpresa come è stato fino ad oggi!


Corale Zumellese di Mel (BL)


M. Da Rold, “Vi adoro”, Corale Zumellese, M. Da Rold, dir.

MANOLO DA ROLD è nato a Belluno nel 1976, ha conseguito i diplomi in Organo e Composizione organistica al Conservatorio “A. Steffani” di Castelfranco Veneto, e in Musica Sacra presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma con il massimo dei voti e la lode, successivamente ha frequentato numerosi corsi di perfezionamento per l’organo, la direzione corale e la composizione sotto la guida di diversi docenti (G. Graden, S. Kuret J. Busto,  C. Pavese,  L. Rogg, L.F. Tagliavini, M. Ciampi, A. Aroma, G. Durighello, G. Kirschner, N. Stefanutti, B. Zagni, G. Zotto ecc.).
Si è esibito sia come solista che in duo o in trio con cantanti e strumentisti partecipando a numerosi concerti e rassegne organistiche nazionali ed internazionali.
Ha diretto numerosi gruppi vocali e strumentali e dal 1998 è direttore della Corale Zumellese di Mel, coro polifonico misto con al suo attivo oltre 700 concerti in tutta Europa e oltre oceano alla guida della quale ha conseguito primi premi e premi speciali della giuria a concorsi corali nazionali ed internazionali.
È direttore e fondatore dal 1999 del piccolo coro voci bianche “Roberto Goitre” di Mel composto da bambini di età compresa fra i sette e gli undici anni.  È direttore del Coro Giovanile di voci bianche “Roberto Goitre” di Mel composto da ragazzi dai dodici ai sedici anni con il quale svolge intensa attività concertistica.
È fondatore e direttore del coro maschile “Melos” Valbelluna,
Ha diretto in prima assoluta opere di Javier Busto, Ivo Antognini, Piero Caraba, Sandro Filippi, Giorgio Susana, Battista Pradal, Andrea Basevi, Manolo Da Rold e in prima esecuzione nazionale musiche di Z. Randall Stroope, Ivo Antognini, Erlend Fagertun, Trondt Kverno.
Come compositore si dedica particolarmente alla musica corale polifonica sacra, alla musica per cori di voci bianche con numerose partiture di carattere didattico e alle elaborazioni di canti popolari provenienti dalla tradizione orale arcaica in particolar modo dell’area veneta, trentina e friulana, ha scritto per strumento solo e per organici cameristici.
La sua musica è pubblicata da Alliance music (USA), Ut Orpheus Edizioni, Sonitus, Edizioni Musicali Europee, ASAC, Feniarco, molti suoi lavori sono stati inseriti in numerose raccolte musicali e riviste specializzate. Ha collaborato per molti anni come compositore con la storica rivista di musica corale e didattica “La Cartellina”.
Con il maestro Sandro Filippi ha recentemente pubblicato con le edizioni Sonitus un volume dal titolo “E nell’aria si sentiva…” con elaborazioni di melodie arcaiche di area prealpina, suo anche il volume dal titolo “Storie” con partiture per cori di voci bianche a cappella e con accompagnamento pianistico.
La sua musica viene eseguita da numerosi cori in tutta Europa,  Stati Uniti, Corea, Filippine, America del Sud, Nuova Zelanda.È stato il primo italiano a pubblicare con Alliance music Publications, alcune sue composizioni sono state indicate, durante la convention dell’ACDA di Salt Lake City 2015, come consigliate per i cori dei College Statunitensi.
È direttore artistico della “Rassegna Internazionale di Canto Corale” di Mel giunta quest´anno alla quarantatreesima edizione e di molte altre manifestazioni musicali.
È Commissario artistico Dell’ASAC Veneto.
Ha partecipato come relatore e direttore di coro laboratorio a numerosi convegni musicali sulla direzione corale, sul canto popolare e sulla formazione per giovani direttori, è spesso invitato come docente a corsi di perfezionamento sulla tecnica di direzione e sull’analisi e sullo studio del repertorio contemporaneo. In Europa e negli Stati Uniti è stato invitato a tenere numerose conferenze sulla sua produzione musicale.
E’ stato più volte invitato quale membro di giuria a concorsi nazionali ed internazionali di Canto Corale e di composizione.
E’ direttore del coro da Camera e docente di Formazione Corale, di Liturgia e Regia Liturgica presso il Conservatorio di Matera.
E’ direttore della Casa della Musica Zumellese affiliato all’associazione Artenuova.
Ha collaborato con l’università IUSVE di Venezia come relatore esterno sul tema “antropologia e musica” e con l’università della Basilicata sul tema “pratica della Musica Corale” nei corsi di storia della musica del Prof. Dinko Fabris.
Dal 2000 collabora con vari istituti comprensivi scolastici della provincia di Belluno come docente a corsi di alfabetizzazione musicale per alunni della scuola dell’obbligo, e come relatore e docente a corsi di formazione ed aggiornamento per insegnanti.
Ha approfondito lo studio delle discipline teologiche e liturgiche studiando presso l’“Istituto Superiore di Scienze Religiose Gregorio Magno” al Seminario “Gregoriano” di Belluno. È membro della Commissione per la Musica Sacra della diocesi di Belluno – Feltre come Coordinatore della sottocommissione per gli organisti. È membro della “Consulta Organi” della diocesi di Belluno – Feltre ed è stato membro di commissioni di restauro di organi antichi, ha pubblicato articoli, libri e opuscoli descrittivi su organi storici di rilevante interesse.È Organista nella chiesa arcipretale di Mel (BL).

https://www.youtube.com/watch?v=r4rKOkvrWyY&list=PLODIf96tsPgoKdmDdrn93-Ewjgip6SoEU
M. Da Rold, “Ave Maria”, Corale Zumellese, M. Da Rold, dir.

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Orationes

ORATIONES

per coro e organo


Un lungo periodo di siccità ha caratterizzato i mesi appena trascorsi. Ecco come si presenta attualmente l’alveo del torrente che scorre dalle mie parti.

È quello stesso torrente che, qualche anno fa, esondò, provocando pesanti danni.

Era usanza nella civiltà contadina e montanara celebrare riti processionali (le cosiddette rogazioni), allo scopo di invocare condizioni climatiche favorevoli a un buon raccolto e di scongiurare eventi dannosi. Liturgie di antica origine pagana, ma che la Chiesa cattolica – soprattutto nelle piccole comunità – ha sempre assecondato.

Attualmente rimane traccia di queste antiche liturgie nella Grande Rogazione di Asiago, che si tiene il sabato che precede l’Ascensione.

Durante le rogazioni il prete e i fedeli si alternavano nella recitazione di litanie, evocanti immagini assai vivide e suggestive:

A fulgure et tempestate… Libera nos Domine!…
A flagello terraemotus… Libera nos Domine!…
A peste, fame et bello… Libera nos Domine!…
Ut fructus terrae dare et conservare digneris… Te rogamus, audi nos!
Ut pacem nobis dones… Te rogamus audi nos!…

Questi testi stimolano l’invenzione musicale. Sono parole che immediatamente si traducono in rappresentazione sonora.
Nel 1991 ho composto le prime due orazioni, per coro e organo, e nel 1997 ho aggiunto la terza, per soli, coro e organo, a completamento del trittico.


Nella prima orazione (Ad petendam pluviam) si chiede il ristoro della pioggia contro la siccità. Nella parte dell’organo echeggia fiacco un ritmo di note ribattute, debole e misera sequenza di gocce di pioggia.

Da nobis, quaesumus Domine
pluviam salutarem:
Psallite Deo nostro in cithara
Qui operit caelum nubibus:
et parat terrae pluviam.
Ut congruentem pluviam
concedere nobis digneris:
Te rogamus audi nos.

ascolta:

Oratio I “Ad petendam pluviam”


Nella seconda orazione (Contra fulgurem et tempestatem) un minaccioso borbottìo di tuoni lontani (pedale dell’organo) spaventa la gente.

Libera nos Domine
a fulgure et tempestate.
A domo tua, quaesumus, Domine,
spiritales nequitiae repellantur:
Et aerearum discedat
malignitas tempestatum.

ascolta:

Oratio II “Contra fulgurem et tempestatem”


Nella terza orazione (Pro aeris serenitate) uno squarcio di cielo sereno prende il sopravvento. Dopo un fragoroso cluster dell’organo, il soprano solista intona un Gloria Patri di conforto e gratitudine.

Adduxisti, Domine,
spiritum tuum, super terram.
Et prohibitæ sunt pluviæ de cœlo.
Domine, exaudi orationem meam.
Et clamor meus ad Te veniat.
Ad Te nos, Domine,
clamantes exaudi,
et aeris serenitatem
nobis tribue supplicantibus.
Te rogamus audi nos.
Et ne nos inducas in tentationem.
Sed libera nos a malo.
Ut fidelibus tuis
aeris serenitatem concedere digneris,
Te rogamus audi nos.
Gloria Patri et Filio
et Spiritui Sancto.

ascolta:

Oratio III “Pro aeris serenitate”


Insomma, Peccatores, Te rogamus audi nos.

ascolta:
Oratio I
ascolta:
Oratio II
ascolta:
Oratio III
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Sillabari corali: “P”

PSALM 90

per coro misto, organo e campane (1923-1924)

di Charles Ives

Charles Ives fu un compositore volontariamente isolato dal mondo musicale a lui contemporaneo, ma per molti aspetti profetico e visionario. La sua opera è stata tardivamente apprezzata.
Psalm 90, per coro, organo e campane, fu abbozzato negli anni 1894-1901, ma compiuto e rivisto intorno al 1923-1924. Ives si è espresso favorevolmente in merito a questo suo lavoro, forse perché, in esso, era riuscito ad esprimere e sintetizzare al meglio la sperimentazione in campo armonico con le dottrine mistico-trascendentali, con la profondità, l’ampiezza e la drammaticità che sono contenute nel salmo stesso.


La composizione si suddivide, sostanzialmente, in due parti. La prima (vv. 1-13), più tetra e contrastante, in cui l’uomo teme la collera di Dio e soffre per la propria precaria condizione («come erba spunta al mattino e a sera è falciata e avvizzita»).

La seconda (vv. 14-17), più luminosa e omogenea, in cui si apre per l’uomo, riconciliatosi con Dio, una speranza di gioiosa ed eterna contemplazione («Saziaci al mattino con la tua grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni»).

Psalm 90 è una composizione di straordinaria modernità. L’intero pezzo poggia sul do basso tenuto, per tutto l’arco del tempo, dal pedale dell’organo. Come l’Ison dell’antico canto bizantino (“la presenza dell’Eterno”). Spuntano i quartenakkord (“la creazione”) e formazioni accordali, eccezionalmente ampie (policordi), per sovrapposizioni di terze (“l’ira di Dio”).

Es.1

Es.2  

Ci sono schizzi sonori, in un contesto pressoché atonale. Ecco cosa compare nel versetto 10 («Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo»).

Es.3  

È celebre il passaggio in corrispondenza del versetto 9 («Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio»). Un’ondata sonora che culmina con un impressionante cluster di 22 suoni. Una struttura palindroma (situata, tra l’altro, al centro dell’intera composizione): accelerazione-decelerazione, apertura-chiusura, addensamento-rarefazione.

Es.4  

Ancora un palindromo al versetto 12 («Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore»). Una sequenza melodica ascendente-discendente di 7 triadi. I suoni fondamentali degli accordi seguono la successione della scala esatonale (Do, Sib, Sol#, Fa#, Mi, Re).


Es.5

Ma stupefacente è tutta la II parte del pezzo. Una lunga coda, in cui alle voci e all’organo (solo registro salicionale, come prescritto), si aggiunge un carillon di campane (3 campane e un gong basso). Campane “in distanza”, come precisa lo stesso Ives. Ma la distanza è data anche dallo scarto tonale tra gli ostinati delle campane e la tonalità d’impianto. Si tratta di una disposizione fonica che espande lo spazio sonoro in direzioni sublimi, lontano, in pianissimo («Discenda su di noi la bellezza del Signore, nostro Dio»). Una visione della “città celeste”; un caso, ante litteram, di spazializzazione sonora.


Es.6

Dopo Psalm 90, Ives non ha composto altro di significativo. Non male, però, Psalm 90, per uno che di mestiere faceva il direttore di una compagnia di assicurazioni!



 

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Sillabari corali: “O”

HÁROM ÖNARCKÉP

per coro misto a cappella (1981-1984)

di György Kurtág

György Kurtág ha proseguito, con coerenza e puntiglio, la via degli aforismi musicali weberniani. È approdato ad uno stile in cui formalismo e espressione stanno in perfetto equilibrio. Alta precisione e controllo delle strutture, da un lato, meticolosa individuazione della sfumatura espressiva che s’intende comunicare, dall’altro. Nella sua musica si coglie il lavoro di cesello sui frammenti e di riduzione della materia ad oggetti sonori essenziali. Oggetti sonori di concezione ora semplice, ora complessa. Un’arte, quella del compositore ungherese, che non è sfoggio gratuito di abilità di scrittura, ma messa a fuoco di quei nuclei che costituiscono la quintessenza del linguaggio musicale.
Három Önarckép (Tre Autoritratti) costituiscono un sottociclo all’interno della raccolta Eight Choruses, op. 23, su poesie di Dezső Tandori (1981-1984). L’intero lavoro è stato eseguito per la prima volta dai BBC Singers, diretti da John Poole, a Londra, nel 1984.

Tandori Dezső, ritratto

Negli Három Önarckép Kurtág mette a fuoco tre situazioni espressive differenti.
Il primo brano ruota attorno alla sensazione di sprofondamento nella palude, a cui si allude nel testo poetico: scivolamenti cromatici, glissati e cluster che, per densità, raggiungono il totale cromatico. Come si diceva sopra, il quadro generale di indeterminatezza è reso attraverso la precisione dei dettagli. Ecco, infatti, come il compositore dispone le scale cromatiche.

1. Már mocsarasodom  

Assoluta essenzialità nel secondo brano. Esplorazione della sonorità corale attraverso la netta distinzione di tre sole parti. Il canto dei tenori circoscritto da due linee estreme: bassi e voci femminili. Là dove si raggiunge il culmine del fervore e dell’abbandono espressivo (“Arioso”), la tessitura è spinta alle massime distanze, per richiudersi, in conclusione, nello spazio minimo.

2. H. királyfi mostohaapja előtt  

Nel terzo Önarckép la definizione di un suono quasi orchestrale rende necessaria una complessa suddivisione della massa corale. La creazione di evanescenti sfumature timbriche richiede il supporto di più parti, ciascuna nettamente delineata. A proposito della complessità della suddivisione della massa corale prevista in alcune situazioni dell’intero lavoro, l’autore precisa, nella prefazione, che l’esecuzione richiede 16 cantori per ciascuna voce, cioè 64 elementi.

3. Önarckép 1965-ből  


https://www.youtube.com/watch?v=3l4Iyj3qwtg


Come non ricordare, nel fremito delle quintine che nel terzo Önarckép circondano le singole note, il superbo movimento finale di Stele (capolavoro orchestrale di Kurtág), in cui un accordo vibra ripetutamente sulle quintine, a un ritmo più lento e inquietante.

https://www.youtube.com/watch?v=GXDyfW-l0Go


 

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