Paolo Bon, musicista e studioso veneto di nascita e di formazione, ha percorso un itinerario artistico, per cui si è progressivamente allontanato dalla realtà musicale locale ed è approdato su territori più lontani nello spazio e nel tempo. Egli, infatti, pur avendo ancorato solidamente i suoi interessi all’ambito dell’elaborazione di canti popolari per coro (ma il suo catalogo presenta anche un cospicuo numero di composizioni originali), ha saputo felicemente confrontarsi con materiali di origine diversa: dal canto alpino, a quello franco-provenzale, a quello di altre realtà etno-musicali.
L’appassionato lavoro di raccolta e analisi di testi e melodie, e la successiva elaborazione in forma corale, hanno costituito la premessa per un’attenta riflessione sui dati musicali primordiali, su quelli che egli ama definire “l’arcaico”, ovvero quel substrato di archetipi comuni a tutte le culture musicali e dai quali si è generato (sulla base di precise ed indagabili leggi naturali) il nostro linguaggio musicale. Paolo Bon è convinto (e i suoi studi musicologici questo intendono dimostrare), che le strutture sintattiche (anche quelle più complesse del linguaggio diatonico, come quelle armoniche e contrappuntistiche), non siano la risultante di un’evoluzione storica, né l’esito della creatività dei singoli musicisti, ma il “disvelamento” di processi, le cui leggi e i cui principi motori sono contenuti “in nuce” nelle forme musicali primigenie (ad esempio, nelle ninne nanne, nenie e cantilene varie). Egli, dunque, sostiene che l’operato del compositore si identifichi con l’invenzione, non nel senso di creare ex novo, ma in quello di “invenire” (trovare), scoprire sviluppi di “architetture e trame musicali” possibili, i cui presupposti sono necessariamente impliciti nel materiale musicale di partenza.
Il rigore scientifico su cui si fondano le tesi teorico-musicali di Paolo Bon, si traduce (soprattutto nelle opere più recenti) in composizioni musicali, in cui emerge una certa prevalenza della “complessità” e, in particolare, del dato contrappuntistico, come se il contrappunto fosse il mezzo che meglio si presta a definire sul pentagramma procedimenti strutturati ed “intelligenti”. Ciao, Lele, Il Quaderno di Katja e Ilaria, Laine des moutons, En lisant Villon, Sei matto! sono brani, che celano, al di sotto dei contenuti poetico-espressivi, una fitta trama di giochi canonici di ogni specie e di precise e simmetriche relazioni strutturali. Contrariamente, i lavori di quella che potremmo definire una “prima maniera” (quella, per intenderci, del periodo passato alla guida del Coro “Cesen” e della cosiddetta “Nuova Coralità”), sembrano maggiormente ispirati da una condotta più libera e a prevalenza armonica. Assai suggestive sono le celebrate realizzazioni (a tutt’oggi assai eseguite) di Le Roi Renaud, Appunti Andalusi, Viva la Quince Brigada, e della Piccola Suite Infantile, in cui vengono felicemente introdotti contaminazioni stilistiche ed elementi armonici modali, in un contesto di composizione corale che, all’epoca, era fortemente condizionata da modelli tonali tradizionali.
[Musica Insieme, Periodico dell’ASAC-Veneto, n. 83, Gennaio 2004]