Il 7 marzo scorso, molti ancora sottovalutavano gli effetti del Coronavirus. Quel giorno aggiunsi ad una mail, una postilla: « […] non vorrei sembrare una Cassandra, ma il mondo corale dopo il Coronavirus si riprenderà lentamente e, forse, per alcuni aspetti, non sarà come quello di prima».
Era il presentimento (per certi versi negativo) di qualcosa, che avrebbe stravolto le nostre attività musicali.
Ora, i contorni di questa calamità si sono fatti più chiari e concreti. Si può iniziare ad ipotizzare come sarà il dopo.
Festival e raduni corali riprenderanno a stento. La ripresa sarà, dapprima, limitata alle dimensioni locali e nazionali. Insomma, dovremo attendere un po’ prima che si ripristini quella movimentazione internazionale a cui ci eravamo abituati.
Poco male. Anzi, sarà l’occasione per riscoprire il valore di espressioni musicali più vicine ai nostri territori, alla nostra storia e alla nostra cultura.
Ma un triste effetto dell’epidemia lo verificheremo, quando alla conta dei coristi mancherà qualcuno. Come ne usciranno i cori che gentilmente definiamo “senior”? Perderemo d’un colpo una generazione di cantori, che hanno con passione contribuito a consolidare il mondo della coralità amatoriale?
«Natura non facit saltus», mi hanno insegnato. Comincio a dubitarne.