AMAO OMI
per coro misto e quartetto di sassofoni (2005)
di Giya Kancheli
C’è tanta poesia in Amao omi.
«Cielo… Sole… Habitat… Splendore… Sacramento… Alleluia…». Parole randage, intervallate da lunghe pause, visione di un mattino radioso. Figure sonore appena accennate, che affiorano all’orecchio come remote reminiscenze. Echeggiano e si spengono nel silenzio. Parole e suoni sembrano arcane apparizioni, che fluttuano in uno spazio originario.
Il canto risuona nell’inusuale accostamento con il quartetto di sassofoni. Le sobrie e tenui intonazioni del coro sfumano indistintamente nelle vellutate sonorità degli strumenti.
Amao Omi è il melanconico stupore di fronte alla rigenerazione. Rigenerazione da cosa? «Amao omi», cioè la «Guerra insensata». Quindi, riappacificazione. Esteriore ed interiore. Ma stravinskiani contrasti (Dove?… Qui… Là… Chi?… A chi?… Perché?…) spezzano lo stato di commozione dato dalla contemplazione della bellezza.
Affiorano gli stilemi dell’antico canto monastico ortodosso. Uno dei momenti più suggestivi è quello in cui si leva dall’abisso l’orazione di un basso profondo solo (do diesis grave).
Giya Kancheli, Amao Omi (2005), per coro misto e quartetto di sassofoni