JÉZUS ÉS A KUFÁROK
per coro misto a cappella (1934)
di Zoltán Kodály
Jézus és a kufárok (Gesù e i mercanti) è un mottetto per coro misto a cappella, composto da Zoltán Kodály nel 1934. È stato eseguito per la prima volta, nello stesso anno, a Kecskemét, sotto la direzione di Zoltán Vasarhelyi.
Per il testo letterario, il musicista ha assemblato degli estratti dai Vangeli di Giovanni e Marco.
… Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato» … (Giovanni: 2,13-16).
… E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento … (Marco: 11, 17-18).
Il brano si divide sostanzialmente in due parti. La prima, un colorito e animato affresco, in cui si descrivono le fasi concitate della cacciata dei mercanti dal tempio. La seconda, più pacata, in cui risuonano i moniti sacrosanti di Gesù. Alla prima parte, corrisponde una scrittura polifonica molto veloce e articolata. Alla seconda parte, uno stile di recitativo accompagnato più moderato e lineare.
Trattandosi di un lavoro originale, Jézus és a kufárok non contiene citazioni dirette dai canti popolari. Ma le invenzioni melodiche e ritmiche del brano evidenziano le ascendenze che gli studi intorno al folclore magiaro hanno esercitato sul linguaggio musicale di Kodály.
L’intervallo di quarta discendente, utilizzato come tipica chiusura melodica. I ritmi derivati dalla caratteristica accentuazione prosodica della lingua ungherese.
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D’altro canto, compaiono anche i riferimenti agli stilemi della polifonia antica, seppur reinterpretati in un contesto armonico-modale moderno.
Gli squilli delle quinte vuote («… rovesciò i banchi… »)
I movimenti per triadi parallele («… La mia casa sarà chiamata casa di preghiera… »)
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Le pitture sonore madrigalistiche («… scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi… »)
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I canoni all’ottava e alla quinta («… gettò a terra il denaro dei cambiavalute… »)
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Una composizione, dunque, che ben riassume l’arte di Zoltán Kodály, protesa verso la compenetrazione degli idiomi musicali derivati dal folclore con le forme colte della tradizione polifonica rinascimentale.
Su tutto, però, domina il principio per cui i grandi contrasti dinamici e gli urti dissonanti non figurano come effetti gratuiti, ma accrescono lo stato di agitazione, la drammaticità della scena e la forma di partecipazione emotiva.
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Là dove tuona il rimprovero di Gesù, «… ne avete fatto un covo di ladri… », si sviluppa il momento più riuscito, intenso e coinvolgente del brano. Sul canto dei bassi echeggia il grido «Rablók! Rablók!» («Covo! Covo!»), che declina cromaticamente dalla tessitura acuta e gradualmente si spegne in pianissimo nel registro grave.
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