Lungi da me l’idea di riprendere la questione intorno al falso storico conosciuto ed eseguito ancora oggi sotto il titolo di Ave Maria di Arcadelt.
È risaputo che il brano, risalente al 1842, fu il frutto di un rimaneggiamento da parte di Pierre-Louis Dietsch della chanson profana di Jacques Arcadelt Nous voyons que les hommes (1554). Una pesante alterazione portata a termine in buona fede, o – a detta di alcuni – con intenzionale inganno. Ma ciò poco importa alla nostra riflessione.
Di fatto, la falsa Ave Maria divenne fin da subito assai popolare. Tanto che, una ventina d’anni più tardi, Franz Liszt ne fece una parafrasi pianistica.
La rielaborazione di Liszt non è molto conosciuta, ma di valore. Questo ci interessa. Tre pagine, che richiamano l’asciuttezza dello “stile religioso” del compositore magiaro. Ma con una distinzione. Mentre altre composizioni sacre s’inquadrano nella missione di riforma della musica sacra (vd. lo scritto Sulla musica religiosa dell’avvenire, 1834), la destinazione pianistica colloca l’Ave Maria d’Arcadelt al di fuori della funzionalità liturgica.
La semplicità di scrittura si accorda parzialmente ai tratti austeri che ispirano le opere religiose più mature. Il pezzo sollecita invece una piacevolezza sensoriale d’ascolto del tutto mondana. L’aspetto pregevole del brano è, infatti, la qualità timbrica, che si apprezza nella sua cornice. Il tintinnìo di carillon che avvolge la melodia in apertura e in chiusura e l’insistenza nelle ottave acute del pianoforte creano una situazione sonora da berceuse, da rêverie. Insomma, una trasfigurazione, un momento di abbandono ad una dimensione di grazia privata. Ma si potrebbe anche aggiungere una ricollocazione (non consapevole, s’intende!) della melodia originale di Arcadelt alla sfera secolare.
Insomma, quello che mi sembra di cogliere in questa breve composizione non è il prodotto per il culto, o l’emanazione di un profondo sentire religioso, ma un delizioso saggio di colorito musicale, che consegue dalla raffinata perizia del grande pianista. Va detto che Liszt manifestò una religiosità sui generis: «… a Roma, poi, e fino alla fine della vita, mostra aperta repulsione per il dogma dell’Immacolata Concezione al punto da cambiar strada pur di non dover passare accanto al monumento romano che ne ricorda la promulgazione» (R. Dalmonte, Franz Liszt, Milano, 1983)
L’Ave Maria d’Arcadelt di Liszt fu pubblicata nel 1865 presso Peters, unitamente ad un Alleluia.